Fregula, piselli e pesto di piattoni

Dopo giorni passati qui sull’isola a contare le gocce di pioggia (nemmeno fossimo in pieno inverno), le folate di vento subito dopo e nel frattempo a starnutire (la sottoscritta, fortunatamente la pupa scampata) e maledire la connessione ballerina (considerato che questa è una vacanza non vacanza, qui qualcuno ha solo trasferito Mac&burattini), finalmente oggi splende il sole. E al mercato ho trovato fave, piselli e piattoni, giusto a capire che è primavera, mica tempo di brodi e vellutate calde, calde.

Alice ha festeggiato: abbiamo sgranato e lei, ammetto, è ormai più brava di me (non fosse altro che si applica con estrema pazienza e accanimento al pseudo gioco).Stamattina, salutato il sole, ho deciso che era finalmente tempo di pic-nic e l’avanzo di fregula sarda è finito a far compagnia a piselli e pesto verde di piattoni e ricotta salata grattuggiata (ve li ricordate i p-i-a-t-t-o-n-i?).
Ora in versione fredda. 

 

Eccoli a giocare con la luce, un raggio sì e uno no. 

Per lo scatto il mare ha fatto solo da forma e non ingrediente, tanto per giocare considerato che qui piatti, ciotole&co sono ridotte all’essenziale.
Tempo e pioggia a parte, il mare in questa stagione è tutt’uno con quello che c’è a terra, con i fucsia e i gialli accesi dei fiori, le macchie bianche dei cespugli, e quei gabbiani che un po’ volano, tenendosi quasi fermi in aria (quanto invidio questo equilibrio!) e appoggiandosi poi lievi su una roccia. 
 
piesse: naturalmente potete sostituire la fregula con altri chicchi di grano, da orzo a farro a riso a ditali di pasta. Da 12 mesi in poi.
 
Ingredienti (per tre, dividete per quattro per un bebè)
 
200 gr di fregula
1/2 kg di piselli freschi (da sgranare), oppure 150 gr di piselli surgelati
200 gr di piattoni verdi
ricotta da grattuggiare
olio extravergine d’oliva
1 cucchiaio di pinoli
2-3 foglie di basilico
(eventuale sale per mamma&papà, poco poco per il bebè)
 
Procedimento
Cuocere al vapore piselli e piattoni (circa 20 minuti). Una volta pronti frullare i piattoni con un cucchiaio di olio extravergine, i pinoli, il basilico e un eventuale cucchiaio di acqua di cottura. Lessare la fregula in acqua (ci vorranno dieci minuti circa dal bollore). Scolare, raffreddare con acqua fredda e condire con un cucchiaino di olio, unire i piselli e quindi amalgamare col pesto. Spolverare con la ricotta salata grattuggiata e impacchettare per il pic-nic oppure impiattare a forma secondo fantasia.

Tornare. Sudafrica I.

Esistono pochi luoghi al mondo che mi danno la sensazione di ritorno. Dove sono nata e dove vivo, perché ci sono le mie radici. L’isola perché un po’ mi assomiglia. E poi l’Africa, nel senso di continente, perché fin dalla prima volta mi ha offerto la possibilità di scoprire qualcosa che non conoscevo ma che mi appartiene. Mi è capitato di viaggiare e ammirare altri paesi, di sentirmi affascinata, di pensare anche di poterci vivere per un breve periodo ma mai ci ho associato la parola ritorno. Come se avessi dimenticato un pezzo con cui confrontarmi e solo nel tornare fosse tutto di nuovo chiaro.

Pensavo di poter condensare il viaggio in Sudafrica in un unico post, beh impossibile. E così questo è solo il primo capitolo, al quale seguiranno altre due puntate.

Rispetto all’Africa che ho conosciuto in passato il Sudafrica si è rivelato diverso, almeno per quanto abbiamo visto. Come se fosse un po’ africano, un po’ europeo: una sfumatura che in taluni casi si accende, in altri si attenua. Credo comunque dipenda dalla regione del Western Cape e Garden Route (la principale che abbiamo attraversato oltre all’Estern Cape e all’area naturalistica vicino a Johannesburg), mentre cambi addentrandosi all’interno, dove sono più numerose le comunità Xhosa, San o Zulu.

Probabilmente ho avvertito una differenza inizialmente forte perché l’ultimo mio viaggio sul continente era stato di lavoro,  in regioni kenyote molte povere e poco urbanizzate (se si esclude un passaggio a Nairobi).

Il vantaggio di questa sfumatura sta nel poter viaggiare con molta tranquillità, muovendoti liberamente con una pupa di tre anni:-).

E’ un paese dalle forti emozioni: i paesaggi dai colori forti, avvolti dal "misty" (la bruma che ti ritrovi perenne su Cape Town ma anche alle 5 di mattina nel bush), le strade da percorrere per centinaia di chilometri incrociando un paio di auto, l’oceano che non ha mai pace, fatto giusto per gli squali e i surfisti, e gli animali, non solo quelli dei grandi parchi. 

E’ un paese che cammina, lo avverti dalla gente, dai cambiamenti ancora in corso dopo la fine dell’Aparthaid oltre 15 anni fa, da quello che è già stato fatto e da molto che c’è ancora da fare. 

 

Sudafrica I. La Città Madre.

Cape Town è una città dove non c’è molto da visitare nel senso classico del termine, si tratta soprattutto di viverla, sospesi fra mare e montagna: le spiagge, i paesaggi, i profumi, i giardini e la gente. 

Per i sudafricani è la "Città Madre", un po’ in qualche modo il sunto di una nazione dove convivono etnie, mondi, luoghi tanti diversi, non sempre del tutto integrati, ma ormai quasi pacificati, dopo anni di lotta. 

La salita alla Table Mountain che si staglia sullo sfondo, perennemente avvolta da una tovaglia, una passeggiata al Waterfront, il porto costruito dagli inglesi, diventato oggi affollato di ristoranti, negozi e turisti, l’aperitivo a Signal Hill per ammirare la città ai propri piedi. O spingendosi in centro, si supera il Castello di Buona Speranza per un picnic ai Company’s Gardens, dove trovi facce di ogni tipo e innumerevoli scoiattoli da parco inglese, in un’atmosfera di festa che solo due decenni fa qui sarebbe stata impossibile.

 

 

 

Al Waterfront il bello è sedersi a uno di quei ristorantini appollaiati sui ballatoi e osservare il movimento attorno.

 Noi ci siamo fermati giusto un paio di ore ritornando da Robben Island, l’isola che è stata per molto tempo prigione e dove Nelson Mandela ha trascorso 27 anni. Quando lo leggi sui libri e te lo raccontano pare già un fatto sorprendente, andarci e sentirselo narrare da un ex-detenuto lo è ancora di più.

Passi da una cella all’altra, leggi le parole di chi è passato di lì, alcuni sono ancora vivi altri no, osservi il cielo così blu dal campo centrale dove i prigionieri spaccavano pietre e segui tutti quei gabbiani che si alzano e si abbassano al porticciolo. 

La nazione "arcobaleno" oggi è un altro mondo, e qui, in quest’isola separata da pochi chilometri di mare si è sviluppata una rivoluzione quando ogni cosa pareva immobile.

Nonostante il posto sia visitato da frotte di turisti, basta allontanarsi lentamente dalla fiumana, lasciare un po’ indietro il gruppo per avvertire la sorpresa del luogo.

Pare incredibile che ci siano state persone, come Mandela, in grado di mantenere per anni inalterati lucidità mentale e ideali tanto da riportarli nella vita quotidiana da uomini ormai liberi senza alcun odio.

E’ una delle forze di questo paese che cammina e che in certi momenti ha addirittura corso. Un aspetto che mi ha piacevolmente sbigottito, quasi che da noi non si fosse più abituati a correre, e nemmeno a procedere a passo d’uomo. 

 

 

Spingendosi alla periferia della città, lontano dai quartieri eleganti di Campsbay, Waterfront e Seapoint, i sobborghi cedono fino a diventare vere e proprie township, dove le case sono messe insieme con lastre di lamiera colorate. La povertà, ci hanno detto qui,  è pressoché la stessa di anni fa, sono migliorati e aumentati i sobborghi, abitati da una classe media che sta crescendo (e colorando).

Per i turisti esistono anche percorsi accompagnati nelle township, probabilmente si può rivelare una occasione per conoscere e capire un piccolo pezzo. Essendo stata in altre condizioni in Africa, essendo entrata come ospite nella casa di gente poverissima, mi è parso impossibile scegliere qui un "tour" di questo tipo. E abbiamo solo visto da fuori.

 

Verso il Capo.

Città del Capo non sarebbe la stessa se a breve distanza non ci fosse la penisola più a sud dell’emisfero. Il Capo è uno di quei luoghi che solo a fermarti per qualche ora ti danno emozioni forti, estreme, è banale a dirsi ma è impossibile respirare lì e non sentirsi carichi di energia.

La strada per arrivare scorre lungo piccoli paesi adagiati sul mare, con spiagge che dal finestrino paiono sempre le stesse per via di quelle onde alte che schiumano nell’aria. In alcune si intravedono fin da lontano casette di legno multicolor, pensate come grosse cabine.

Io me ne sono innamorata e nel tardo pomeriggio ho preteso di ripassare dalla cittadina di Muizenberg solo per fare una ventina di foto al soggetto…

Abbiamo fatto tappa a Boulder’s beach, famosa per la colonia di pinguini. Beh, per Alice è stato uno spettacolo, bagno coi pinguini compreso:-).

 

Ho ammirato il loro stare: becco semiaperto, zampe ben piantate nella sabbia, per lo più vicini vicini, quasi non facendo resistenza al vento e a molto altro,  parte integrante di tutto questo paesaggio.

Inutile dire che appena si muovono e si avvicinano all’acqua sono "adorabilmente" buffi.

Al Capo, vero e proprio, si entra in una riserva protetta, si possono fare tragitti a piedi, avventurarsi verso spiagge deserte o salire fino al faro.

Per i più pigri c’è pure una funicolare che ti porta su, comunque la salita non è impegnativa, considerate che la pupa ha compiuto l’intero tragitto sulle sue gambe (esclusa l’ultima gradinata in spalla a Mr B.).

E poi là in alto capitano gli incontri più inaspettati.  

Un cartello, appena entrati nella riserva, ti mette in guardia dai babbuini e confesso che, leggendo la guida e sentendo il racconti di amici che ci erano stati, mi aspettavo di essere assalita appena scesa dall’auto:-).

In realtà di babbuini ne abbiamo intravisti giusto un paio per strada, mentre su al faro, c’era una marmotta, sola soletta, a godersi il panorama da uno sperone. E questa attitudine delle marmotte di stare a contemplare il mare deve essere un’abitudine perché dopo quella del Capo ne abbiamo incontrate varie in Sudafrica, tutte sempre su una roccia mare sullo sfondo:-).

Non l’avrei mai detto delle marmotte.

Infine il punto del Capo di Buona Speranza, che dire? Il vento soffiava parecchio!

 

Lungo la Garden Route.

Da Città del Capo ci siamo fermati nella regione dei vini, uhm questo però fa parte di uno dei capitoli successivi, dedicati a mercati, cibo e dintorni.
Dalla Garden Route mi aspettavo qualcosa di più, forse dipende dalla stagione, forse dipende dal resto che abbiamo visto. Dai racconti mi ero immaginata una strada spettacolare che corre a ridosso del mare, in realtà solo per brevi tratti è così, per il resto è una via interna. 

Chilometri e chilometri da percorrere spesso con una o due altre macchine all’orizzonte (beh questo è il bello:-)).

NNoi abbiamo fatto tappa a Knysna ad ammirare la laguna e mangiare ostriche (io e Mr B.): è la specialità del posto, da assaggiare in un locale molto alla buona e dall’atmosfera rilassata chiamato Oyster Bar.

E poi per la gioia di Alice ci siamo fermati qualche giorno al mare, a Plettenberg: l’acqua era quasi inavvicinabile, tanto era fredda e movimentata, ma le spiagge lunghe chilometri sono perfette per camminare e come diciamo pupi&io "ciacchettare coi piedi". 

Ci sono diverse spiagge, una addirittura si estende fra l’acqua dell’Oceano Indiano e quella del fiume, lo Storms River, che sfocia. Come dire calma piatta e cuore in tempesta:-).

Lo spettacolo è soprattutto nell’oceano coi surfisti che cavalcano onde incredibili, incuranti sia del freddo sia degli squali (beh almeno dai cartelli parrebbe così:-)).

A Plettenberg ci siamo uniti a una escursione in mare per vedere i delfini e le foche. E’ emozionante assistere ai movimenti dei branchi di delfini che si abbassano, saltano e scompaiono in un mare con onde simili.

Anche le foche vivono in grosse colonie e pare, da quello che ci hanno raccontato, che abbiano la meglio persino sugli squali.

 

A Plettenberg vale anche un giro la Robberg Reserve, si possono prendere vari percorsi, alcuni da vera arrampicata.

C’è chi sceglie di arrivare per un picnic verso sera (i sudafricani amano mangiare all’aria aperta e sono veri fanatici del "brai" o barbeque).

Qualcuno apparecchia come fosse in un gran ristorante: fantastico! 

Noi abbiamo scelto una camminata semplice che ci ha portato ad una spiaggia "oceanica": mare in similtempesta, schiuma nell’aria e battigia lunghissima da specchiarsi dentro.

 

 

 

Da Plettenberg ci siamo rimessi in viaggio. Purtroppo avendo pochissimo tempo ci siamo fermati per poche ore alla Foresta Tsitsikamma, arrivando solo fino al famoso ponte sospeso. In realtà si tratta di un parco ricco di sentieri, flora e cascate che varrebbe una visita più estesa. Ma noi avevamo da correre verso l’Addo Elephant Park… to be continued…

 

 

Uhm, dimenticavo qualche link utile caso mai voleste cimentarvi in questa parte di viaggio. Tenete presente che la zona è ricca di guesthouse e bed&breakfast,  in taluni casi però non accolgono bambini (ebbene sì) quindi è sempre meglio controllare o chiedere (altrimenti finite come noi che arrivati in un ristorante ci hanno mandato via perché non accettavano bimbi). 

Comunque ci sono tante strutture childfriendly, e la stessa Cape Town ha tutta una serie di iniziative dedicate ai più piccoli.

 

Il sito ufficiale del Sudafrica

L’agenzia locale di viaggio a cui in piccola parte ci siamo appoggiati ( e che credo aver fatto impazzire!) 

A proposito di Cape Town e dintorni

Cape Town per bambini

Il miglior ristorante di carne di Cape Town (o almeno Alice&io la pensiamo così)

Robben Island (meglio comprare i biglietti del ferry in anticipo perché di solito è tutto esaurito)

Tutto sulla Garden Route

Un ristorante dai sapori sudafricani a Plettenberg 

La guesthouse sulla spiaggia dove abbiamo dormito a Plettenberg (ossia addormentarsi col rumore del mare) 

 

All’altro capo del mondo

C’è questa cosa fantastica di poter salutare e dire ora, quando in realtà sei già nell’altro emisfero, sbadigliando, cercando di riprenderti e soprattutto tentando di interpretare una cartina per prendere la strada giusta. O almeno immagino mentre scrivo. Stamattina (ossia ieri) pensavo a come domani (ossia oggi) mi sarei letteralmente trovata più vicino al polo sud che al polo nord, uhm un po’ come scrivere un giorno per quello avanti. 

Comunque, per farla più breve, come suggerisce il cartello la cucina è chiusa, il blog sospeso (e la sottoscritta in vacanza, all’altra capo del mondo). O quasi, perché se ci sarà la possibilità vorrei raccontare di una città del Capo, sullo sfondo una montagna, spesso avvolta da una tovaglia, di una via, in questo periodo proprio giardino, dove trovi pinguini che si accompagnano a elefanti. E di un mercato, dove c’è un miscuglio arcobaleno. Pare un indovinello:-).

A presto!

Di pane e altro ancora

 

Sono state settimane piene di nuvole, alcune più grandi altre meno, nuvole che mi hanno lasciato poca voglia di scrivere. Poca voglia di cucinare, giusto il desiderio di sfornare: impastare qua e là con l’aliciotta, pane, cakes e biscotti, e ritrovare uno di quei piatti che ancora oggi la nonna bis fa. Mi ha preso l’idea che riempire la casa di profumi, caldi (bè effettivamente sono stata graziata dal tempo anche lui annuvolato) e "coccolosi" fosse un ottimo rimedio per scacciare le nuvole ed essere meno inquieta. Ed è stato così che mi sono pure dimenticata di scrivere per dire buone vacanze o quasi (e pensare che Miss Cia aveva anche creato uno splendido au revoir): sarà per l’anno prossimo?:-).

Qualcuno penserà ad una grande confusione in queste fotografie, bè prendetelo un po’ come una parte del nostro agosto: i panini al farro appena sfornati, Mr B. e la pupa sulla sedia a dondolo (ne vedete mani e panini mangiucchiati:-)), il riso al forno di mia nonna (appena ne ho sentito il profumo è stato un po’ un salto all’indietro negli anni, avete presente no le madeleine proustiane?), la mano di una amica, ormai di quasi mezza vita, alle prese con la pappa del suo pupo formato 9 mesi durante una gita in montagna e il lago visto dal lago per il primo battesimo di pupi in acqua dolce. 

 

Di questi giorni, naturalmente, vi lascio le ricette e i riflessi, simili a quelli che fanno le case sul lago. E’ strano come le cose che ti stanno tanto vicino all’improvviso le vedi con occhi diversi. Un po’ come succede quando ho iniziato a guardare con gli occhi della pupa.
I panini, il riso, il lago, risalito da Domaso (siamo sul ramo di Como) giù fino all’isola Comacina (diciamo poco prima della casetta di Clooney) e quell’acqua, per me sempre stata da guardare come fossi pure io un personaggio da "Piccolo Mondo Antico" e dove invece la pupa mi ha trascinata, con molte remore che dopotutto eravamo giusto nel mezzo fra i due rami, per un bagno che "mamma, ma non è salata!".  E la sottoscritta di solito "il pericolo è il mio mestiere" ha bardato la pupa con ogni accessorio possibile che favorisse il galleggiamento. 

piesse: per chi non avesse dimestichezza coi laghi, quello in alto, in apertura, è un box o garage o rimessa, come la chiamate. Della serie: "Caro, hai messo la barca a fare la nanna?":-).

 

E le ricette? Riso, panini e la pappa di Wonder.
Col riso non ho inventato nulla di nuovo: il piatto della nonna bis è stato rodato negli anni e tramandato nientemeno che dalla mia bisnonna:-). Io ci ho fatto giusto qualche modifica qua e là (impossibile seguire per la sottoscritta una ricetta senza ad un certo punto voler far da sè:-)). La più grossa? Aggiungere zafferano spagnolo come fosse una paella, ma voi fatene a meno.

Il formato? Due anni suonati, ma forse anche meno dipende un po’ dal pupo.

Il bello della ricetta? Il profumo appena sfornato: l’ho talmente decantato alla pupa che non ha fatto altro che annusare e annusare…

Ingredienti (per una teglia abbondante)

200 gr di riso carnaroli

2-3 patate leggermente scottate in acqua (giusto dieci minuti)

200-300 gr di pomodori freschi

basilico e timo

parmigiano (mia nonna dice sempre "in abbondanza")

aglio

olio extravergine d’oliva

pangrattato

sale

brodo vegetale

 

Procedimento

Mettere a bagno il riso in acqua tiepida leggermente salata (per una mezz’ora). Nel frattempo tagliate a fette sottili le patate leggermente bollite. Frullate una parte dei pomodori (eventualmente sbollentati in acqua e spellati) con olio, sale, basilico, timo e una o due fettine di aglio. 

Prendete una teglia, bagnate con un po’ di passata di pomodoro, ricoprite di patate sottili e poi di riso, quindi di nuovo passata, patate, pomodori a pezzi e parmigiano. Continuate così, sull’ultimo strato spolverizzate anche di una manciata di pangrattato. Bagnate con un paio di mestoli di brodo vegetale e infornate a 175° per 50 minuti (ricoprite il riso con domopak in maniera che non secchi troppo). Di tanto in tanto bagnate con brodo vegetale (come si fa con la paella). Verso fine cottura togliete la carta in maniera da creare una crosticina. E poi godetevi il profumo!

 

Panini al farro

E i panini? Era da tempo che volevo sperimentare un pane con farina diversa dalla tradizionale, simile ad un panino al latte (perché la pupa ne va matta:-).

La scelta è caduta sulla farina di farro. Il risultato? Bè Mr B. ha detto "eccezionale", of course potrebbe essere di parte:-). Mentre io mi sono innamorata della foto delle mani di pupi&papi. 

Il formato? Dall’anno in poi.

Ingredienti

300 gr di farina di farro

200 gr di farina manitoba

12 gr di lievito di birra

1 cucchiaino di zucchero

1 cucchiaio di sale

200 ml di latte tiepido

1 cucchiaio di burro (circa 40 gr)

semi vari (sesamo, papavero…)

Procedimento

Sciogliete il lievito di birra in poca acqua tiepida con un cucchiaino di zucchero. Lasciate riposare per qualche minuto. Intanto unite le due farine nella ciotola dell’impastatrice. Sciogliete il sale in due dita di acqua tiepida e unite alle farine insieme al lievito. A poco a poco aggiungete il latte tiepido regolandovi con la quantità in base all’impasto (che non deve risultare nè troppo asciutto nè troppo bagnato). Una volta che si è formata la palla di impasto coprite con un panno umido e mettete a lievitare in luogo caldo (ad esempio il forno a 35°-40°) per un paio d’ore. 

Quando sarà raddoppiato di volume riprendete, reimpastate e formate tanti panini a piccole pagnotte. Spolverizzate con dei semi e spennellate con poco latte. Rimettete a lievitare in luogo caldo per un’altra oretta. 

Riscaldate il forno a 210° e infornate per venti minuti, abbassate a 190° e lasciate cuocere fino a quando i panini diventano dorati. 

 

piesse: dimenticavo la pappa da trasferta per il piccolo Wonder (il pupo della mia amica che è una meraviglia:-). Formato? 7-8 mesi.

La pappa di Wonder

una zucchina piccola

1 foglia di lattuga

1 fettina piccola, piccola di zucca

un odore di carota

giusto una fetta di patata

qualche pisellino

1 cucchiaino di formaggio grana reggiano

1 cucchiaino di olio

ricotta fresca da aggiungere

1 foglia di basilico fresco

 

Il procedimento? Bè qui basta bollire tutte le verdure, frullare con poca acqua, olio e parmigiano. Trasferire nel porta pappa e al momento servire con la ricotta fresca.

 

 

 

 

Si scioglie la neve, al mare.

Non ho ancora deciso. Se preferisco la fondue di pesce in montagna o lo scavo del riccio, a gara con la vecchia, maddalenina doc. Di sicuro ne ha mangiati più di me, di ricci. Intendiamoci un po’ pazzerella lo sono sempre stata. Si è aggiunto il caso a sballottarmi dall’ultima neve di montagna al primo mal di terra, quello che mi prende sull’isola dell’isola. Aggiungeteci dei giorni di corsa, un mezzo lavoro nuovo in più, quello di routine aumentato e la passione che mi ha portato al Salone (quello del mobile) pur non avendone il tempo:-).
Che ne è uscito? Un post un po’ in ritardo, Miss Cia che viste le foto della neve ha commentato "Me ne vuoi proprio parlare?" e io che in questo momento sono divisa fra una casa non ancora finita dove le porte chieste bianche tendono al "marron" e il resto degli impegni che non torna.
La cucina, quella di casetta, oggi non funzia, che ve lo devo dire? 

Ho bisogno di respirare un attimo, solo un attimo, con quella "Stille" che questi posti hanno (di montagna e non di isola).  E siccome al di là di cucina, ricette, e bla, bla, bla, ci sarà qualcuno che come me ha bisogno di ‘sta benedetta "Stille" o "calma, o silenzio, o chiarezza" come volete definirla, ho deciso che è cosa buona e giusta condividere. 

Dieci giorni fa sono rimasta affascinata dal lento sciogliersi della neve tra montagna e laghi, giusto una manciata di chilometri dopo il Maloja e mi son detta che sarebbe stato bello assistere al progressivo arrendersi del ghiaccio e alla riconquista delle acque. Andata e ritorno. 

Ho pensato che questa cosa c’entrasse tanto, ma proprio tanto con la primavera, il suo arrivo, e il naturale scorrere delle stagioni.  Di solito viviamo di assoluti: o il mare, caldo, sfacciato ed estivo, o la montagna, la neve totale e assoluta. E invece ci sono le vie di mezzo, quelle che non ci avevi pensato, ma possono anche piacerti. 

Nelle vie di mezzo ci sono pochi assoluti che non cambiano: l’isola di Chaviolas (c’è chi ha passato anni a fotografarla), il sentiero della Val di Fex che porta sino a Mount Selvas e la panchina sotto i larici di uno che a pensare ci passava tanto, troppo, tempo.

O cambiando scenario (che dopotutto ora sono qui), il profumo dei pini di Caprera, il traghetto avanti e indietro e il vento, di solito dispari (ed è iniziato solo oggi!).

 

E’ stato così che il post informativo si è trasformato giusto un po’: niente dove, come e perché. Sarà per la prossima volta, considerato che non potendo sedermi a guardare le nevi sciogliersi, ho già promesso all’aliciotta di ritornare. Là dove ora c’è ancora ghiaccio ci andremo con quelle buffe barchette a remi, a far spola da un lago all’altro.