Barcellona. Perché già la amo.

E’ una città bellissima. Veramente. Che diventa magnifica, abbagliante quando c’è il sole. Cielo blu, senza una nuvola. Una città che ti costringe a voltarti in su per non perdere nulla. E a goderti, a passo lento, i quartieri, i vicoli, i giri di tapas e sangria.

Una città che alza la testa orgogliosa a ogni balcone. Fiera ed energica.

Una città che ti mette voglia di camminare.
Siamo arrivati a Barcellona da una settimana e già mi pare di essere lontano, completamente immersa in un mondo nuovo, eccitante. Cose da guardare, toccare, annusare. Nuovi ritmi, sapori e impegni. Sono in movimento e sono felice. Ne avevo bisogno. 

Sono passati setti giorni e ci stiamo orientando. Le prime visite del fine settimane (sotto la pioggia), il primo giorno di asilo di Alice (sotto la pioggia, sigh) e il primo raggio di sole, tre giorni fa. 

Ho preso le misure con questa casa di passaggio: una cucina ridotta all’essenziale ( dle tipo che se vi dico due pentole due, sono proprio due, lol!), un retro con lavatrice sul balcone (che a guardare dal quinto piano in giù mi viene male, ogni volta), un terrazzino inondato di luce (direi la parte migliore!), dal quale contemplare i tetti e il Tibidado. 

A voi, il retro:-)… notate la rete in basso? Beh se perdo un paio di calzini stesi so dove andare a cercarli.

 

Il lato bello, bello. E i miei acquisti di stamattina:-)

Il parquet interno scricchiola poco aderente al pavimento, ma non alla maniera londinese, tanto che ieri il vecchietto di sotto ci ha suonato perché Alice e Lea disturbavano la sua siesta (alle 5 del pomeriggio…).

Adoro il nostro quartiere. Siamo a Gracia, una zona tranquilla e residenziale, anima di tutti i focolai rivoluzionari catalani. Se Barcellona è Catalogna prima di essere Spagna, Gracia è Gracia prima di essere Barcellona. 

Vicina alle manifestazioni di una città che il primo maggio ha fatto sentire la sua voce. 

Ci si perde fra le sue piazze, i negozietti di ogni genere e locali. Basta fare due passi per passara dai tipici ristoranti catalani e spagnoli a specialità da tutto il mondo: indiane, cinesi, giapponesi, thai, fusion, italiane, argentine…

Aggiungeteci il Mercat de la Llibertat proprio a due passi e capirete perché sono già innamorata.

Mi mancava questa energia. Barcellona è una città europea, in crisi come tante, ma non ha perso la sua vitalità. Il suo cosmopolitismo. La sua fierazza. Facile sentirsi affascinati, soprattutto arrivando da un paese dove tanto di questo pare essere svanito negli ultimi mesi, anni…

Al mattino usciamo presto. Di solito io, Alice e Lea. Prendiamo la metro, una linea, cambio, la seconda. Le leoncina nel marsupio, perché purtroppo anche qui, ad eccezione di pochi ascensori, per lo più in metro mamme e passeggini hanno vita dura. Però mi piace. 

Riconoscere dopo qualche giorno i percorsi, il via vai di facce e lingue da ogni parte del mondo, i musicisti che si alternano nelle stesse postazioni.

L’asilo di Alice è il tipico asilo per stranieri: un miscuglio di nazionalità che si incontrano grazie all’inglese o al tedesco. Il primo impatto è stato caotico, informale. E ovviamente così poco italiano. Escono, tutti i giorni o quasi. Oggi, sono stati al mare, in spiaggia. Una camminata di bimbi in fila a due, senza troppi problemi. Le mani sporche di sabbia e i capelli che sanno di salsedine.

Io lavoro, mentre Alice è all’asilo e Lea gironzola col passeggino con la nostra super fatina italiana (alias baby sitter, grazie ad Alessandra che me l’ha fatta conoscere:-)). Appunti sparsi, idee del prossimo libro che devono diventare in queste settimane i sei capitoli che lo formeranno. 

Però abbiamo anche fatto alla moda dei Barcellonesi. Siamo usciti tra sabato e domenica e le sere in cui Lui non torna dopo le dieci…

Perdonatemi ma di foto ne ho scattate poche. Non è semplice con le due pupe al seguito. E soprattutto se ti porti la Canon, ti fai bastare l’obiettivo basic…

Per la gioia di Alice (e lavoro della sottoscritta) siamo stati all’Acquario, al museo Marittimo e al Museo delle Cere.

Il meglio però è stato domenica. Siamo saliti con la funicolare a Montjuic, la montagna degli ebrei, punto panoramico sull’intera città fino alla zona del porto. Da lì siamo scesi passando tra i viali dei giardini, sino alla Fondazione Mirò.

E allo stadio olimpico, dove la sottoscritta pensava giocasse il Barça, una vera e propria fede più che una squadra di calcio. Grazie a Luca di aver corretto la mia ignoranza, e pensare che Lui mi ha detto ora che mentre eravamo lì mi stavo giusto dicendo che lo stadio non è utilizzato (e appunto non ci sono nemmeno le porte:-))). Chiedo venia!

Da qui ci siamo spostati verso il centro, arrivando al Barrio Gotico. Che al momento, dopo Gracia, è il mio posto del cuore. Vicoli e vicoli, stretti, dove la lune gioca a sprazzi tra le finestre e i balconi.

Trasformando ogni cosa, rendendo speciale ogni angolo. Persino i più banali.

 

 

Balconi e finestre, panni candidi e bandiere arancio acceso.

 e stella su fondo blu.

 

E la mia cucina? Per ora sta tutta nel prossimo libro (in gran parte già fotografato:-)) e negli assaggi on the road. Da segnalare le mie tapas, per ora del cuore, a "La Pepita" e la fideua (paella a base di cortissimi spaghettini) a L’Arrosseria Xativa. 

 

Piesse: volete partecipare anche voi al prossimo libro de Il Cucchiaino? Forza papà o mamme per i papà spedite le vostre ricette. Basta essere semplici, non per forza chef, ma proporre qualcosa che amate fare coi vostri bambini. 

Vi aspetto!!!

Primavera d’autunno, Torggelen e mele

Ci sono i momenti, quelli belli, che ti rimangono fra i pensieri come bolle di sapone fra le dita. Cerchi di afferrarli, trattenerli o portarli alla luce del giorno quando c’è qualche nuvola. A volte volano via, proprio come le bolle, a volte scoppiano dietro alle giornate grige, faticose. A volte sono chiari, profumati, frizzanti come quei giorni di primavera in pieno autunno.

Sussurro spesso ad Alice di conservare le giornate speciali. Quelle in riva al mare o dei prati in montagna, quelle in cui siamo vicine e giochiamo a rincorrere le onde. 

Oggi è primavera in autunno, qui da noi. E ho ripensato a due giorni speciali, qualche settimana fa. Perché sono stanca, parecchio assonata, con tanto lavoro e poca lucidità, in compagnia di una pupa ammalata e una settemesenne con tanta voglia di strisciare per tutta la casa. 

Ho ripensato ai "torggelen", a Chiusa e alle bimbe in quei due giorni. Aria di primavera in autunno.

E ho deciso che dovevo trovare dle tempo per accarezzare un ricordo recente e ritornare sorridente:-). 

Lo so, ormai i torggelen sono passati (per chi non lo sapesse è quella splendida abitudine altoatesina di andare per masi, bere il mosto e mangiare castagne nelle prime giornate d’autunno), ma il racconto introduce le ricette dei prossimi giorni. A base di mele, ancora mele, e sempre mele. Perchè durante quei giorni ne ho comprate parecchie andando a zonzo.

Oggi solo foto e qualche parola, per portare anche voi nella nostra giornata di primavera che sa di foglie croccanti e multicolor, mele rosso biancaneve e castagne calde. 

Con i verdi dei prati che sono ancora verdi mentre il foliage attorno canta di gialli, arancioni e ambra rossa.

A Chiusa, è bastato mescolarsi alla folla, nella festa, tra i vicoli circondati dalle facciate medioevali, per sentirsi lontani.

Ai tavoli, per le strade, abbiamo mangiato pane dolce, bretzel salati, castagne profumate di fuoco, nei bicchieri mosto dolce e birra dei piccoli (uhm, succo di mele). 

E se si è stanchi della moltitudine, è sufficiente andare, zaino, scarpe comode, una storia da raccontare alla pupa accanto, i lamponi scuri d’autunno da afferrare, un "Gruss Gott" da scambiare con l’uno o il due che si incontrano sul sentiero.

Respirare a boccate la solitudine, diventare euforici per il silenzio. 

Per le fino su Chiusa e dintorni vi rimando qui, per le ricette a base di mele invece stay tuned:-)

Tornare…

430 … e avere ancora negli occhi il blu, quello del mare, quello dell’orizzonte e del cielo. Dove vivono sospesi i gabbiani. E ci si sente perennemente in preda del mal di terra. Tornare e avere l’estate dentro, come fosse un secondo abito dal quale non vuoi separarti. Faticare coi grigi di oggi, con i semafori infiniti, quando per quasi due mesi ne ho contati giusto due (di cui uno perennemente lampeggiante). Avere l’eco dell’andirivieni dei traghetti, che a volte si incontrano a volte no. Vai a scommettere quando. E il gioco delle spiagge o delle uscite comandato dal vento. Tornare come se non si fosse tornati. 

Ormai so del tempo che vola e scivola, poco stupore quindi per un’estate che si è consumata veloce nella sua lentezza infinita. Le piccole abitudini: la sveglia presto, la corsa in bicicletta per accompagnare Alice al corso di nuoto in mare, l’odore intenso della salsedine al ritorno, appena imboccavo la discesa, il mercato del mercoledì, l’attesa dei primi fichi e la scelta del melone bianco.  La connessione sulla quale maledire durante le mattinate lavorative, il porticciolo dove ammirare le barche sul finire della giornata coi profili delle case che hanno un sapore di altri tempi,

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lo sguardo perso verso il panorama, a valutare tramonti all’ora dell’aperitivo casalingo,

o invidiare gli alberi, quelli sul mare.

il bagno della pausa pranzo, le prime sgambettate in acqua di Lea, e il mare che scorgi improvviso fra gli alberi e le rocce. Il giro al parco, a far finta di essere pirati nei giorni brutti (uhm, forse due:-)).

 

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La conta dei fari, fino a quello più lontano, degli isolotti Barrettini. 

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E ti può capitare di scorgere i delfini fra le onde o girare il collo come fanno certi uccelli, persi nell’orizzonte o attaccati al loro scoglio.

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Non è stato viaggio, non è stata vacanza, almeno per la maggior parte del tempo, ma una sorta di breve trasferimento altrove, quando cominci a vivere e riconoscere e organizzare.

Però quello lo lasciamo da parte perché tornare, almeno oggi, è raccontare i momenti, quelli più belli e speciali dell’isola,  La Maddalena. Fatta di luce, che filtra nel blu cangiante del mare, nel verde dei pini di Caprera, e di vento, che urla o sussurra nel canto dei gabbiani, alle prime ore del mattino.

Per me è impossibile stare qui senza desiderare di andare. O meglio di non rimanere a terra, senza perdere di vista la partenza. E i luoghi dove navigare sono tanti e tali che ammalarsi di mal di terra qui è quasi banale.

Ecco Bonifacio, le sue falesie, il bianco accecante nei giorni dell’estate. E l’impressione di avere fra le dita tutto quello di cui hai bisogno. Per un momento.

 

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E poi i tuffi, i primi di Alice senza se e senza ma, contati a voce alta, con le amicizie nate per caso. Tipo che abbiamo lo stesso costume e amiamo lo stesso rosa per l’innaffiatoio ("Ciao Riiiitaaa!!":-)).

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Per oggi l’estate è ancora qui, mentre sogno l’isola, quella che mi somiglia. 

 

 

Di stelle alpine e fiori di campo. Arrivederci a settembre…

Luglio è passato veloce, tra le prime vacanze e i bagliori di estate assoluta. I giorni sono corsi, come ormai sanno fare mio malgrado. Tra le mani le prime manciate di ricordi, quelli della montagna, che odorano ancora di fiori di campo mentre nelle orecchie ho, ora, la voce forte e calda delle cicale. Davanti settimane sull’isola tra i primi “bagni” della pupa piccola e le nuotate di quella più grande, ormai in stile libero:-).

Come non mai, tra i sentieri, in montagna, fiori e fiori e ancora fiori. Il profumo dell’erba, verde smeraldo, punteggiata da viola, gialli e bianchi. Da ammirare e cogliere. E far mazzetto e sistemare fra i capelli. Per la gioia delle bambine.
Quest’anno abbiamo vissuto un’intera settimana in quota, in una casa nei prati, affacciata sulle montagne dell’Alta Val Badia, di fronte la cime del Sassongher.  Con noi amici, per la gioia di Alice in compagnia di una delle amiche del cuore. Come dire, tutto più semplice perché due bambine=gioco= annullamento= – 2 (o quasi:-)). 
 
Ci siamo dati un taccuino di marcia a misura di pupi, quelli a piedi e quelli nello zaino, sulle spalle. E nonostante i capricci del tempo, abbiamo potuto segnare diverse croci sui sentieri che volevamo percorrere. Fino ad arrivare oltre i 2000 metri.
Paesaggi che riconciliano con gli animi più irrequieti, lontani dalla folla. Serate così fresche che a volte non pensi nemmeno possa essere anche lì estate. La soddisfazione di far fatica, gambe in spalla, ognuno con il suo peso più o meno maggiore, la scorta di acqua e qualcosa da mangiare sul plaid disteso sull’erba. Ed enormi poltrone, che sanno di legno, sulle quali alzare gambe e occhi al cielo, e contemplare cime in ogni punto.
Tutto sa di aria, che entra nella testa, nelle orecchie, negli occhi. Chiara, leggera e dolce. 
Sono ritmi che nulla hanno a che vedere con quelli del mare, dove sono ora e la quantità di gente sulla spiaggia, vicino al mio asciugamano aumenta in maniera esponenziale al crescere dei giorni sul calendario.
 
Come al solito, a stupirmi, là la quantità di attività proposte per i più piccoli: sentieri didattici dove raccogliere timbri attraverso il riconoscimento di impronte di animali, malghe nelle quali i bambini di città capiscono che il latte non lo produce l’omino del banco frigo e si stupiscono della facilità di produzione di panna e burro, fermate in alta quota dove non mancano mai giochi all’aperto o pennarelli per colorare se la pioggia arriva improvvisa. 
Poi si ritorna all’aperto, con i verdi che sono ancora più verdi.
Il ladino, a inframmezzare le lingue nazionali, italiano e tedesco. E cene, in posti tanto belli e d’atmosfera quanto cordiali con le famiglie.
Tra tutti segnatevi L’Murin Osteria, gemella della Stua de Michil de l’Hotel La Perla: noi ci siamo andati per cena con 4 bambine, arrivati c’erano già pennarelli e fogli per disegnare e occupare l’attesa dei piatti, in un ambiente da favola e una cucina, informale e di una manciata di proposte, di chiara appartenenza all’altro ristorante stellato dell’albergo. E ci siamo sentiti completamente a nostro agio, nonostante la confusione che ci abbiamo portato.
A proposito qui ho fatto merenda (anzi abbiamo, visto che Alice lo ha adorato:-)) uno degli strudel migliori della mia vita, rigorosamente di stagione, ripieno di albicocche con una morbida pasta sucrè. 
 
Con gli anni mi sto accorgendo che sto sviluppando una passione sempre più accentuata per la montagna d’estate e il mare d’inverno, sarà mai che sto invecchiando o sviluppando un’intolleranza via via maggiore alla folla?:-) 
 
La ricetta di oggi è in perfetto spirito del post, come dire sconsigliata a chi si trova ad altitudini poco sopra il livello del mare o nella calura della città. In questo caso, archiviate e mettete da parte per i primi freddi autunnali. Ne vale la pena!
Da accompagnare con Weizen per i grandi e birra dei piccoli per i pupi (ovvero succo di mele 100%)
 
piesse: arrivederci a settembre! (mi pare un po’ di essere ritornata ali tempi della scuola con queste vacanze lunghe, lunghe quest’anno!)
 
Ingredienti (per 5-6)
500 g di pasta colorata (io ho usato il formato stelle alpine, so cute:-))
 2 patate grosse
2 mele
1 cipollotto
150 g di formaggio tipo latteria saporito
150 g di speck cotto (assomiglia a un prosciutto cotto affumicato ma poco affumicato e più dolce, perfetto per i più piccoli, in alternativa usate prosciutto cotto)

qualche cucchiaio di latte o panna fresca e brodo vegetale
olio EVO

burro (magari di malga:-))
sale, rosmarino

 
 

Procedimento
Pelate le patate e sbucciate le mele. Grattugiate tutto a julienne, affettate il cipollotto e fatelo dorare in una grossa padella con un cucchiaio abbondante di olio. Aggiungete patate e mele, mescolate, profumate con il rosmarino e bagnate con brodo vegetale se si asciuga troppo. Portate a cottura, aggiustate di sale. Mantecate il condimento con latte o panna e una bella noce di burro. Ora bollite la pasta, e passatela al dente in padella. Servite con una buona grattugiata di formaggio a scaglie. 


Per info sull’Alta Val Badia
www.altabadia.org

Oho so girlish! Biscotti per mami

Ultimamente le settimane mi scorrono fra le dita veloci, veloci. Oggi Miss Lea è una pupa di due mesi, ma la sottoscritta ha un tale affollamento di idee e progetti per la testa che fatica a distinguere le otto settimane che sono passate. Se potessi esperimere un desiderio per la prossima festa (sì, pure la mia che ormai sono bis:-)) è di avere la possibilità di andare lenta, accarezzare i momenti senza la sensazione di non riuscire pienamente a fotografarli. Ci ho pensato negli ultimi sette giorni, trascorsi all’isola, con la prima immersione di mare e l’ebbrezza di sentirmi l’estate addosso. 

Ho adorato il cielo così terso, un azzurro che non vedevo da tempo, le spiagge deserte e i fiori sparsi ovunque. E poi le corse di Alice dietro ai gabbiani e il battesimo di Lea con l’acqua di mare. Gli aperitivi in terrazzo a quattro (ognuno ovviamente a modo suo) e una totale atmosfera "pink", perché ormai siamo in tre e Lui a resistere, ogni tanto:-). 

Nella mia lista "girlish" un’abbuffata di fragole, sarde doc, tra le variazioni quelle di Arborea hanno scalato la nostra personalissima classifica.

I fiori "fuchssssia", come li chiama Alice, disseminati tra terra e mare, in questa stagione, a La Maddalena.

Il loro sfondo migliore? Ovviamente dipinto di blu.

Ho ricominciato a fotografare, con Lea posizionata nel marsupio. Era impossibile resistere all’assalto di luce.

Il ritmo lento, cadenzato solo dall’andare  e venire dei traghetti, mi ha aiutato a concentrarmi su cose piccole, quasi banali, che poi però il ricordo rende uniche, speciali. 

Possono essere incontri fortuiti, sorprendenti agli occhi di chi trova per la prima volta. Come la stella e Alice.

Oppure di chi si ritrova, come la sottoscritta e il gabbiano, sempre in bilico fra terra e aria, veloce a volare sotto le gocce di pioggia. 

L’occhio si ritrova a osservare particolari che nella fretta avrebbe degnato di uno sguardo veloce. E ritrova gli stessi giorno dopo giorno, felice di tanta abitudine. 

Saranno queste sensazioni, i colori, o forse le due pupe, per la festa che verrà ho sfornato biscotti che a vederli paiono più per la casa delle bambole che per la tazza di tè delle cinque.

Sono pink, sono girlish e hanno il profumo delle rose.

La ricetta si ispira molto, ma molto, alla lontana ai biscotti di Reims, per via del colore rosa. Il mio infatti è un impasto dalla consistenza della frolla, per via del fatto che volevo poterli ritagliare alla forma di vestitino. Ho utilizzato olio al posto del burro, per un risultato più leggero.

Per il colore rosa, oltre a metterci dello sciroppo di rose, ho usato dello zucchero rosa acquistato mesi fa nel weekend parigino, aromatizzato alla vaniglia.

Infine ho trasformato i biscotti in una sorta di "pink lolli pops" con degli stecchi di legno.

Il risultato? So chic!

Ingredienti

150 g di farina

100 g di farina di riso

50 g di farina di mandorle

120 g di zucchero rosa (oppure zucchero bianco e colorante rosa naturale, ad esempio alla barbabietola)

semi di vaniglia

1 pizzico di cremor tartaro e lievito

1 uovo e 1 tuorlo

2 cucchiai di sciroppo alla rosa

80 ml di olio di mais o semi delicato

 

Procediemento

Mescolate insieme gli ingredienti secchi, unite l’uovo e il tuorlo, quindi l’olio e lo sciroppo di rosa. Dovete ottenere un composto omogeneo, lavorabile a mano. Avvolgete la palla in una pellicola e posizionate in frigo per 20 minuti. Ritirate e stendete, quindi ritagliate i biscotti. Posizionate delicatamente all’interno del biscotto uno stecco di legno, partite dal centro della base e arriva quasi al centro. 

Cuocete in forno a 175° per 10-15 minuti. Decorate con una glassa a base di zucchero a velo, un goccio di limone e un goccio di acqua e, se a disposizione, con penne colorate alimentari.  

 

 

La galette, pas complète…

Sì, sono di quelle organizzate (o almeno qualcuno mi descrive così:-)), che ha sempre ricordato ogni cosa a memoria, pur appuntandosela sulla Moleskine del momento (tempo ante pupa), che poteva passare da un progetto all’altro e dare l’impressine di farcela senza troppa fatica, decisa, beh, sì, e convinta sull’obiettivo. Sono anche quella che rimane sul treno non perché ignori la fermata ma semplicemente perché troppo presa dalla lettura, sono quella che è stata capace di presentarsi alle 5 di mattina senza passaporto prima di un viaggio di lavoro importante e organizzato nei particolari (uhm, sono partita grazie a Lui che ha fatto to&back a una velocità su cui è meglio soprassedere), e sono quella che a volte dice sì ma è su Marte. 

Prendete questa personcina, shackerate, mettete insieme circa 600 foto scattate con diligenza e maniacalità, una sera tarda, tanta stanchezza, il pensiero su almeno un paio di altre questioni e un Mac che nell’ultimo periodo imita la sua padrona. Bene, ora capirete perché vi racconto di un viaggio in Normandia e Bretagna con una manciata di poche foto. 

Il mio dito, per nulla collegato alla parte corretta del cervello, leggero e sbarazzino ha schiacciato elimina (esempio di autodistruzione da oca del villaggio) e via tilt del Mac e foto bye-bye (eccetto poche sopravvissute degli ultimi due giorni).  Poi ho pianto, o quasi.
Niente ninfee immortalate in ogni possibile angolatura (credetemi bellissimo il giardino di Moneta Giverny e simpatica la giapponese che ci ha voluto fotografare, ovviamente con la mia reflex), niente Honfleur o Saint Malo, e nessun ricordo di quell’andare sotto la pioggia (bardati con superimpermeabili) per le vie del Mont Saint Michel su fino e dentro all’abbazia, noi e pochi altri a sera tarda (ecco, se capitate da quelle parti scegliete la sera per addentrarvi, spettacolare e tenetevi lontani dalla pazza folla del giorno). Nemmeno un’immagine a dimostrare che sì, lì piove, piove, raggio di sole, e ripiove, piove e pioviggina, ma che ti può capitare di finire in un paese che condivide il nome con un formaggio (oui, le Camembert). E poi le secche che lasciano le barche in precario equilibrio mentre tu cerchi di in
dovinare cosa si nasconda in quel miscuglio di terra e sabbia. E la pupa, deliziosa con in testa le righe bianche e blu, caratteristiche dei tessuti di queste parti.

Bene, inutile dire senza mostrare:-). Vi lascio giusto l’impressione dei paesaggi di luce,vento e mare di quella parte della Francia dove tanti paesini paiono usciti dalle pagine di una Madame Bovary o da un racconto di fari, naufragi e tempeste.

 

E la cucina? Personalmente un pochetto pesantuccia negli assemblaggi, ma deliziosa negli elementi base, della serie a volte meglio una galette e sidro (proprio come un vero bretone!), piuttosto che cozze, far breton o baguette con camembert ( o livarot, il preferito di Alice!) che affrontare più portate pensando di sopravvivere:-). 

Tornata a casa, vi ho già detto dei financiers, ma c’è stata anche la gallette, una crepe a base di farina di grano saraceno, completata con quello che più aggrada, benchè la tradizione raccomandi per “une galette complète prosciutto, formaggio e uovo al tegamino nel bel mezzo. 

 

Solitamente viene ripiegata ricavando così quattro lati e creando l’effetto sorpresa per il ripieno interno (almeno per Alice).
All’inizio non ne sono rimasta granché entusiasta, ma era dovuto al fatto che non era preparata a regola d’arte. A Dinan, dall’atmosfera intensamente medioevale con le tipiche case a graticcio, ce ne siamo innamorati in uno di quei locali che offrono solo ed esclusivamente galette e sidro, servito nelle scodelle basse bianche con bordatura rossa. 

Ecco la ricetta. Danno il meglio in versione salata, in quella dolce meglio le classiche crepes. La ripiegatura le trasforma in bauletti dei segreti o di caccia al tesoro o annua sa e indovina, perfetti per incuriosire la pupa:-).
La nostra versione non è “complète”, considerato che ho eliminato l’uovo e inserito all’interno gli ultimi pomodorini di stagione dell’orto dei nonni. 

piesse. Comunicazione di servizio:-). Se avete voglia dire la vostra su quel passeggino troppo pesante, su quel libro che ha risolto la nanna del vostro pupo o sul vostro/i blog preferiti (uhm, uno a caso? Il Cucchiaino… va beh, va beh…) fatevi un giro su Mums up!

 

Ingredienti

200 g di farina di grano saraceno fine

1 uovo 
50 ml di acqua fredda
sale

prosciutto, formaggio (emmental o camembert…) e pomodorini

 

 

Procedimento

Mescolate la farina con l’uovo, aggiungete quindi acqua e sale. Girate con una frusta o una forchetta per amalgamare, quindi lasciate riposare per una mezz’oretta. Ungete una padella con del burro, riscaldate e versate un cucchiaio abboandante di pastella. Aspettate un paio di minuti e voltate dall’altra parte con una spatola. Inserite nel mezzo del formaggio per l’ultimo minuto, passate su un piatto e ripiegate i bordi.