Il paesaggio è arido, quasi arso dal sole e sferzato dal vento che soffia implacabile sul mare punteggiato dalle vele colorate dei windsurf. Siamo appena scesi dal piccolo aereo che ci ha trasportati in poco meno di un’ora dal fascino medioevale e cosmopolita di Rodi alla solitudine fuori dal tempo di Karphatos. La prima impressione non è di incanto. E mai impressione si rivelerà più lontana dalla realtà. Perché una volta a Karpathos, sempre a Karphatos. Almeno col cuore.

Il nostro viaggio inizia a Finiki, un sonnolento paesino di pescatori, disseminato di piccole taverne, in alto, sulla collinetta a far da custode alle poche anime una delle innumerevoli chiese dell’isola. Il pranzo scorre lento e gentile, perché in Grecia l’ospite pare ancora cosa sacra.
Arriviamo alla nostra casa, quella ci ospiterà per due settimane. E pare essere arrivati in paradiso, lontano dalla pazza folla e immersi in una pacifica solitudine. Il panorama toglie il fiato, soprattutto quando il sole si tinge di rosso e cade in mare di fronte a noi. Il silenzio è rotto solo da grilli e cicale (e tuffi in piscina:-)), mentre la nostra casa è circondata da erbe aromatiche, lavanda e spazio.
A farci da angelo custode all’Arpathea Villas, Nadia, che si intende con le nostre pesti solo a gesti e sorrisi.

Scopriamo in fretta che il ritmo lento e lontano dalla folla è la cifra incantevole di Karphatos, insieme a tutte le gradazioni dal blu al turchese che l’occhio può immaginare scorrendo dal mare al cielo.

Karpathos non è un’isola piccola (la terza per grandezza del Dodecaneso, dopo Rodi e Kos), il greco qui si mescola ancora con gioia alle memorie italiane della Scarpanto di una volta (fra le due guerre mondiali qui i territori facevano parte delle colonie italiane), si contano 60 diverse spiagge fra cui scegliere e fino a qualche anno fa arrivare alla parte nord era un’impresa da compiere macinando i pochi chilometri tra la polvere sollevata dal fuoristrada. Tanto che chi abitava fra Olympos e Diafani in città, a Pigadia, ci andava raramente, qualcuno mai. Oggi è arrivata la strada, che ha accorciato le distanze, pur non sottraendo nulla al fascino selvaggio di quei tornanti a picco sul mare. L’aspetto stupefacente, in una prima impressione di rocce brulle, cime che superano i mille metri e pietraie accarezzate dal meltemi, è in quelle macchie di foreste di pino mugo spettinate dal vento che trasformano completamente alcuni tratti. Lì pare un’altra Karpathos, mi ricorda la Skopelos verde dove siamo stati un paio di anni fa.

La maggior parte delle spiagge si contano a sud dell’isola, a nord di Pigadia, cominciando da Acata in su quelle meno ventose. Partendo dal porto, con una delle tante gite giornaliere, abbiamo avuto un colpo d’occhio dal mare di quella costa: approdiamo ad Apela, una distesa di sabbia bianca, mescolata a qualche ciottolo, incorniciata fra pini e rocce. Dicono sia una delle più belle dell’isola e del Mediterraneo, io però ho preferito Kyra Panagia, dove siamo arrivati il giorno dopo dalla strada, tornante dopo tornante. Anche qui, come quasi ovunque la possibilità di affittare per pochi euro ombrellone e sdraio, dopo aver parcheggiato comodamente l’auto a pochi metri dalla spiaggia.
Il panorama migliore però si gode dall’alto.OLYMPUS DIGITAL CAMERA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lasciate perdere per un’oretta o qualcosa di più la spiaggia, lasciatevi alla spalle le prime taverne e salite alla chiesetta, quella dal tetto rosso (perché qui, nel Dodecaneso, le chiese di regola non dovrebbero avere il tetto blu ma proprio rosso). Date ascolto alle leggende e suonate la campana o almeno tentate: pare abbia il potere magico di riparte a Karpathos ancora nella vita.

Lasciandosi invece Pigadia alle spalle e proseguendo verso sud, dopo la tranquilla e più turistica (se di turistica qui a Karpathos si può parlare) baia di Amoopi, da non perdere la spiaggia di Damatria (qui ci siamo concessi un pranzo alla taverna Poseidon, a capo della brigata la masterchef greca Angela, incantevoli la pace e la vista), bella anche Christou Pigadia, subito dopo.OLYMPUS DIGITAL CAMERA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Prima della zona dell’aeroporto si entra nella “California” locale: vento, tanto vento, windsurf, tanti windsurf e un tratto di vita che pare uscito direttamente dalla costa americana.
Raggiunto l’aereoporto, si segue la strada, punteggiata ai lati da pietre, capre e asfodeli che lo costeggia e conduce a Diakoftis, dove ho irrimediabilmente compreso che il Paradiso è un luogo dopotutto ventoso, annegato in ogni genere di blu.

Se siamo tornati due volte a Lefkos, invece, sulla costa ovest c’è un perché. Anche in questo caso il tragitto per arrivarci è già di per sé un motivo per andarci. Ecco, questa è di sicuro una caratteristica di Karpathos da non sottovalutare, ovviamente se al fare vacanza ogni tanto si preferisce viaggiare. Lefkos ha tutto ciò che può assicurare una perfetta giornata in riva al mare. Diverse spiagge fra cui scegliere, acqua bassa e trasparente perfetta per i bambini, taverne sul mare dove spendere le ore più calde, all’ombra delle tamerici, un tramonto da ammirare bevendo un greek mojoto (noi!) e spremuta di frutta (i pupi!).

L’isola, il suo ritmo lento, i piccoli locali tradizionali dove bere ouzo, resina o caffè greco, le donne sorridenti col capo coperto in nero, gli uomini dai volti consumati dal sole impegnati nelle partite di tavli, sono soprattutto nei paesini dell’interno: Spoa, Arkasa, Aperi, Menetes, e su tutti Olympos. Li si ammira da lontano, case che paiono senza abitanti, quasi fossero tante belle addormentate in attesa del risveglio. A far da guardiano il mare e le chiese, sempre presenti, nelle posizioni più improbabili.


Dopo una strada scomoda, lenta ma con panorami stupefacenti, vedere sbucare Olympos è sorprendente.
La sua magia va prima ammirata da lontano: ci fermiamo alla chiesa di fronte, sulla strada. Il vento anche qui soffia forte, una manciata di nuvole sulla destra rende l’immagine ancora più incredibile. E il villaggio pare una sorta di presepe, le case sono come grappoli, paiono in bilico sulle rocce, una dopo l’altra in un continuum per lo più bianco, perché si nascondevano così alla vista dei pirati dal mare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Oggi gli abitanti sono rimasti pochi, vivono conservando i costumi e le tradizioni di un tempo, qualcuno dice per lo più in omaggio al turista.

Noi ci siamo arrivati verso fine giornata, se potete fate lo stesso. Eviterete così la folla dei turisti, ma soprattutto avrete l’impressione di essere veramente fuori dal tempo, sospesi sul mare.

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Qui le vie sono precluse alle auto, ci si muove a piedi o a dorso di mulo. I visi, le parole sono gentili, ancora di più del solito (ed in Grecia, a Karpathos è tutto dire:-)).

 

 

 

 

 

 

 

 

Abbiamo cenato alla taverna Milos, pale di mulini in disuso, forno a legna dove si cuoce il pane e mare, tanto mare.

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Se si prosegue dopo Olympos, si arriva a Diafani, un piccolo porticciolo dal sapore greco, da cui partono le gite giornaliere per le spiagge raggiungibili solo via mare e l’isola di Sartia.

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Noi ci siamo andati con il capitano Manolis che ci ha condotti fra grotte e spiagge deserte (se non fosse per le capre:-)).

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A Karpathos si diventa anche esperti di tramonti, una meraviglia quello che si gusta a cena alla Taverna Under the Trees e alla Taverna Eudoxia, dove abbiamo mangiato i migliori makarounes dell’isola (specialità a base di formaggio locale e cipolla fritta), con contorni di verdure del loro orto, dolcetti e grappoli di uva offerti (e regalati anche da portare a casa). In Grecia, a Karpathos, ci si sente proprio come se la loro casa fosse la nostra casa. E per un viaggiatore questo vale il viaggio.