Il titolo è di quelli didascalici, che più didascalici non si può. Ci sono i fatti, i tempi e gli ingredienti. Non si tratta solo di una ricetta, non è propriamente un viaggio (a meno che una fuga dal caldo di fine giornata non possa essere archiviata come tale), non è cosa tutta mia. Che al crotto mi hanno aiutato:-)

Qualche giorno fa, quando l’afa aveva spazzato via qualsiasi alito di aria potesse esistere, Mr B. è venuto in soccorso delle sue donne a ridosso della cena. E io come al solito ci ho messo del mio, cambiando il suo itinerario iniziale e finendo a Bologna. Sì Bologna, frazione di Perledo, 800 metri di salvezza e aria fresca (bè freschina): poche case, il circolo bolognese col gran vociare della partita a scopa, una piazzetta minuscola dalla quale godere uno dei panorami più belli sul lago di Lecco, da Varenna in giù. E un crotto, quello del Meo, dove sedersi su una panca di pietra e gustarsi finalmente una cena senza gocciolare. 

 

 

 


Per chi non lo sapesse i crotti sono qualcosa in più rispetto ad una comune cantina, che qui la temperatura si mantiene tra i 4° e gli 8° grazie ad uno spiraglio naturale tra le rocce da cui spira l’aria. In Valtellina (a Chiavenna) sono di origine naturale, in altri casi, come al Crotto del Meo, vengono scavati. Ed è così che vini, acqua, bresaole, salami e formaggi finiscono al fresco, in cantina:-)

Per quello che riguarda la cucina il crotto del Meo è stato una scoperta: non mi aspettavo di mangiare hummus, tatzichi (per altro deliziosi) e chutney di cipolla e uvetta nei luoghi di polenta taragna e lavarelli.
E l’Aliciotta, in serata da strappo alle regole, ha assaggiato e pasticciato dai nostri piatti prima di darsi alla fuga tra scala e prato.

Di quello che si stende ai piedi di Bologna non posso dire granché, perché Mr B. è arrivato presto dal "lavooroo" (versione Alice), ma non così presto per una capatina a Varenna, dove la passeggiata pied dans l’eau vale da sola la visita ( e credetemi è facile capire da Tramaglino&Mondella a Clooney&Canalis perché certi amori nascono qui).
Dal semifreddo al sambuco assaggiato al Meo e dalle chiacchiere scambiate con uno dei due proprietari (a proposito grazie per il mini tour al crotto) mi è venuta l’ispirazione per il dolce creato poi a casa. 


Ho voluto rifare qualcosa di simile, aggiungendoci di mio i mirtilli (arrivati coi nonni dall’Alto Adige) ed eliminando gli albumi, che credo proprio ci fossero nel dolce del Meo, più soffice rispetto al mio:-).

Volendo realizzare un dolce formato aliciotta ho preferito lasciar perdere le uova a crudo e utilizzare l’agar agar (che potevo sciogliere con lo sciroppo di sambuco). 

Un’alternativa, la proverò al prossimo semifreddo, è quella di pastorizzare le uova (montare le uova aggiungendo acqua e zucchero bollenti) o semplicemente preparare una crema inglese da unire alla panna montata.
Per il formato bebè, tenete conto che i mirtilli andrebbero introdotti verso i due anni (Alice ha fatto il solito strappo alla regola ma pare non soffra di nessuna allergia ai frutti rossi, considerando la quantità divorata).

Ingredienti (per 6)

200 ml di panna fresca
1 cucchiaio di zucchero e 1 di miele al limone
1 bicchierino di sciroppo al sambuco
1 bicchierino di acqua
2 cucchiaini di agar agar
100 gr di mirtilli

 

Procedimento

Unire agar agar, sambuco, acqua, zucchero e miele: riscaldare e mescolare fino a quando l’agar si scioglie. Spegnere e lasciar raffreddare. Montate la panna (mi raccomando fredda, fredda)  e aggiungere poco alla volta il composto preparato. Unire anche i mirtilli. Prendere degli stampini in silicone e riempirli con la base di semifreddo. Lasciar riposare in freezer per almeno due ore.