Kent: cervi e pudding patriottico

Charing Cross – London Bridge – Waterloo… una manciata di fermate e in poco meno di mezz’ora si lascia la metropoli e si entra nella Greater London verso la campagna. Chilometri che secoli fa impegnavano i pellegrini di Chaucer giorni e giorni.

E che ora lasciano stupita la sottoscritta, catapultata nel weekend in uno scenario che pare lontano, lontanissimo.
La campagna qui in Inghilterra ha questo strano potere che non ha ad esempio la zona circostante Milano, per intenderci. E’ come quando a Londra entri in uno dei parchi e vedi cigni e scoiattoli ma all’ennesima potenza. Lo stacco è netto e ha la capacità di farti sentire e vivere qualcosa di completamente diverso.

Metteteci poi la fortuna sfacciata di essere accompagnati da una collega di Mr B. su e giù per il Kent con fermata in uno di qui castelli ereditati da Enrico VIII e dotato di parco vastissimo con cerbiatti liberi. Le origini per metà italiane della nostra guida hanno fatto il resto, nel senso che il pranzo è stato gentilmente offerto a casa sua dalla cucina di mamma&papà.

 

L’idea iniziale era di di spingersi fino a Leeds Castle, decantato da ogni guida oppure ad Hever Castle (qui ci ha abitato Anna Bolena da bambina).
Vedi impazienza dell’aliciotta e chiusure dovute al winter time, ci siamo fermati prima. E abbiamo fatto bene. Perché Knole è esattamente il posto che cercavo. Niente a che vedere con l’eleganza di Hampton Court o il "so da fiaba" di Leeds. In compenso spazi enormi, colline appena accennate, querce secolari e decine, decine di cerbiatti liberi tra i quali camminare.
Pare che il posto, oltre alla sottoscritta e a qualche altro, fosse piaciuto parecchio anche al solito Enrico VIII: l’arcivescovo di Canterbury fu gentilmente sollecitato a cedergli la proprietà (penso tra l’altro l’abbia fatto in tutta fretta caso mai finisse come la povera Bolena).


Credo sia un piccolo concentrato del Kent e della campagna inglese: verde, verde, cielo sempre indeciso, dal grigio all’azzurro intenso, e animali liberi quasi da toccare. Ed è straordinario come qui siano in grado di conservare, tutelare, vivere e far vivere tutto questo. Altro che zoo (non nutro simpatia per il soggetto).

Diciamo che qui la formula campagna nel weekend è giusto una bella passeggiata all’aria aperta, stivali di gomma ai piedi, due o tre bimbi dietro, e magari un giro a cavallo (intendiamoci per nulla elitario o costoso come può essere dalle nostre parti). Caccia? Niente, che ormai è vietata.

Confesso che era difficile dire chi tra Alice e la sottoscritta fosse più soddisfatta dell’incontro coi cerbiatti (e un cervo), di sicuro la pupa ha riscosso più successo considerato che tra me, la mia Canon e loro è sempre rimasta una distanza minima di tre metri mentre la piccoletta è stata avvicinata a "portata di carezza". E credo che per la pupa sia stata un’esperienza da ricordare:-).

Nel Kent poi è un susseguirsi di colline, dolci, dolci, piantagioni di lavanda (sì proprio lavanda come ha raccontato la nostra guida), cottage stile tudor, fattorie, cavalli e buffe case dal tetto conico dove si conserva il luppolo per la fabbricazione della birra. 

Date colpa alla campagna e soprattutto a questa atmosfera "tempo che fu", oggi ho preso in mano un altro dei libri di Mr James. Si parla di cucina british, ma proprio british  nel senso patriottico del termine. Non per nulla il titolo "The Victory Cookbook" di un’istituzione nazionale, Maguerite Pattern (la donna aveva persino lavorato per il Ministero dell’alimentazione durante il conflitto).

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, la Gran Bretagna diede vita a tutta una serie di celebrazioni per la vittoria. E questo me lo potevo pure immaginare. Che invece assolutamente non sapevo è che la cucina fece la sua parte. E anche i bambini. Si organizzarono per giorni e giorni tavolate per le strade ( e devo ancora capire come si regolarono con il loro tempo così variabile) e i pupi si vestivano di festa e si davano a jelli, blancmange e pudding, a volte preparati con pochi e poveri ingredienti (ad esempio latte in polvere o uova condensate piuttosto che strutto o margarina invece del burro).

Il cucchiaino ha pensato bene di cimentarsi con il pudding patriottico, giusto farina, zucchero, un uovo, burro, due cucchiaiate di latte, qualche cucchiaio di "marmelade" (indi, tassativamente all’arancia), lievito. 

Tenete conto che il formato è bebè dopo l’anno, la consistenza è veramente morbida e da facile, facile "morso" e la tradizione inglese prevederebbe "custard cream" per accompagnare ( una sorta di crema inglese che defnire di facile digestione bè è più che un eufemismo).

piesse: la cosa che preferisco di questo pudding è la cottura, niente forno ma semplice bollitura.

Ingredienti secondo la ricetta di Mrs Pattern

200 gr di farina

1 uovo

40 di zucchero scuro

50 gr di burro

4 cucchiai di marmelade (o golden syrup o lemon curd)

1 cucchiaino di baking powder (o mezza bustina di lievito)

2-3 cucchiai di latte o acqua

 

Procedimento

Mischiate farina, zucchero, lievito e burro. Aggiungete l’uovo sbattuto e il latte. Dovete ottenere una consistenza cremosa. Amalgamate la marmellata o altro. Ora viene il divertente. Mettete in una ciotola leggermente infarinata (tenete conto che andrà ad alte temperature!), coprite con carta  (tipo domopack o carta da forno) e legate il tutto. Posizionate in pentola con acqua, portate ad ebollizione poi abbassate (e lasciate ancora per 20 minuti).

Mrs Pattern consiglia, se ne avete a disposizione, di mettere sulla base mele a fettine e of course servire con custard cream (siate parchi e non fate come gli inglesi!).

Borough Market: a London must

Immaginatevi un mercato vecchio di 700 anni (ma se si va proprio indietro potrebbero contarsi 2000 anni): qui si danno appuntamento da ogni parte della Gran Bretagna coltivatori, allevatori, pescivendoli, fomaggiai, fiorai e cioccolatai. Immaginatevi Londra, la City e il Tower Bridge, e tutte quelle facce così diverse che ti capita di incontrare in pochi metri on foot


E pensate che anche loro, coi loro sapori, colori e tradizioni gastronomiche si uniscano e si rappresentino su questo palcoscenico. Alle spalle una cattedrale gotica. E’ il Borough Market, siamo a London Bridge.

Una sorta di celebrazione di quello che il cibo può essere, di quello che possono essere pesci, carni e verdure e spezie. Immaginate la ricchezza del mercato ittico di Cagliari o Milano, la violenza cromatica di Ballarò a Palermo, la grazia rumorosa di Campo dei Fiori a Roma. Mischiate, aggiungete, alleggerite e immaginate di nuovo: qui potete vedere ma soprattutto gustare ogni cucina (o quasi). 

E’ stata uno dei primi appuntamenti che mi sono segnata diligente appena arrivata a Londra. Ci sono andata con qualche dubbio: la settimana precedente ero stata a Portobello market e bè devo dire che non mi aveva per nulla entusiasmato (se non la fermata da Books for Cooks).

Ci abbiamo passato mezza giornata (e considerate che Alice era con noi, sveglia, pimpante e pronta all’assaggio:-)).
Tra bancarelle, passaggi di cucine e tappa finale. I banchi sono tanti ed è stupefacente la varietà, nel senso che certo ci trovi le pernici scozzesi o i cinghiali della Cumbria piuttosto che il miglior Cheddar ma non mancano prodotti lontani, dal fois gras
alle rilettes, dalle ostriche francesi a falafel e culatello italiano.

Quello che però mi ha affascinato di più è la gente così viva e diversa, e poi gli odori che si mischiano e rimischiano nell’aria. C’è la signora, bristish vecchio stampo, cappotto grigio, su sedia a rotelle elettrica, che si lamenta del prezzo del piatto di ostriche appena acquistato e il pescivendolo francese che la riprende. E poco dopo eccola, in disparte, tranquilla, che spreme il limone e gusta in silenzio, attorno la confusione più assoluta. Ci sono i formaggiai pronti a spiegare e farti assaggiare, e la giapponese che chiede un falafel semplice, lo vuole ricambiare con quello farcito e grazia vuole che ci capiti io che amo la versione classica:-).

 

E poi un banco completamente votato a "Soups pret à manger: carote e zucca per Alice.

Intanto cammini­­­, aggiri e vai avanti: verdure e frutta, in gran parte prodotti britannici (mele, pastinache, patate e poi i verdi accesi di verze e cavoli).E poi i fiori, rose inglesi, tulipani olandesi e la lavanda dalle piantagioni francesi.

Nel cuore del mercato si incontrano carni e pesce, tutti presentati da pescatori e allevatori. Se penso a certi mercati e certi odori tanto forti da risultare impossibili sentiti in Africa, certo qui la carne è esposta quasi da negozio. In realtà per un tempo addomesticato a super&co, si tratta di un’esperienza. E ancora le facce che qui al centro (come all’inizio del mercato) cucinano, riscaldano e rimestano curry indiani, paelle spagnole, carni inglesi, o calde zuppe a base di noodle…

Noi abbiamo tentato anche la salita da Roast ma purtroppo senza prenotazione è impossibile trovare un tavolo. Abbiamo ripiegato per l’assaggio della carne al banco che hanno al mercato, ancora on the road.
Se vi spingete fino in fondo poi, basta attraversare la strada per entrare in uno dei templi del formaggio inglese,
Neil’s Yard, mentre se non siete sazi di ostriche o volete semplicemente bere qualcosa provate Wrightbrothers.

Mezza giornata al Borough ha il potere di riscaldarti, stupirti e affascinarti, come giusto un paio di bicchieri di vino bianco, fresco e frizzante. Ed è straordinario come Alice si sia goduta il suo on the road gourmet (ostriche a parte, of course).

A proposito ecco qua il sito ufficiale caso mai capitaste a Londra il giovedì, venerdì o sabato.

http://www.boroughmarket.org.uk/ 

 

 

Scones per il tè dei matti

Sotto un albero di rimpetto alla casa c’era una tavola apparecchiata. Vi prendevano il tè la Lepre di Marzo e il Cappellaio. Un Ghiro profondamente addormentato stava fra di loro, ed essi se ne servivano come se fosse stato un guanciale…

La tavola era vasta, ma i tre stavano stretti tutti in un angolo: — Non c’è posto! Non c’è posto! — gridarono, vedendo Alice avvicinarsi. — C’è tanto posto! — disse Alice sdegnata, e si sdraiò in una gran poltrona".

Se penso ad un tè inglese chissà perché vado dritta al tè dei matti. Sarà che Biancoconiglio, il Cappellaio Matto, la Lepre di Marzo e il Ghiro guanciale non sono compagnia da tutte le tavole. Sarà che sono un po’ matta pure io e il tè senza regole, con tanto di personaggi ai quali manca qualche venerdì, bè proprio mi piace. Sarà che ho un’Alice tutta mia, pure lei matta giusto quel pochino per farmi sorridere. 

Ed invece non c’è nulla di più rigoroso e rituale della preparazione del tè, soprattutto se si considera che è diffusa in maniera diversa in culture lontane fra loro. Cina, Giappone, India, Corea, Olanda, Svezia e of course Gran Bretagna. 

Certo il tea time delle 5 o’ clock non ha la grazia del Cha No Yu giapponese e oserei dire nemmeno la leggerezza. Però è una sicurezza che ti mette tranquillità come tutto ciò che ha la capacità di non cambiare mai,  ma proprio mai.

 

Qui a Londra non ho avuto il piacere di partecipare ad un tè da "Alice Woderland" che sarebbe stato proprio divertente. Ho trovato in Covent Garden una valida alternativa ai soliti indirizzi (per intenderci Whittard o Twinings o Fortnum&Mason) per acquistare tè: il posto si chiama Tea Palace e vale la visita.

 


Poi lunedì, giornata piovosa e grigia ( e ve lo devo dire?), alle 4.15 p.m., approfittando di un ritorno di Mr B. inaspettato, abbiamo avuto la grazia di gustare il nostro primo tea time british. 

Ok, ho cercato per un paio di giorni una tearoom di una simpatica signora dello SryLanka: volevo qualcosa di alternativo al tea time modello Ritz o quasi. Invano, ha chiuso qualche mese fa. Abbiamo ripiegato sull’Orangerie, just around the corner, proprio accanto a Kensington Palace. Se non avesse piovuto, se non fosse stato così grigio, e se qui il sole non calasse dopo le 4, bè avrebbe potuto essere carino: dalle alte finestre bianche si ha la vista diretta su tutti i gardens.

Abbiamo avuto il nostro tè: sandwiches, very small, assaggi di cakes, niente di che, e scones, con jam e clotted cream. Sì perchè il tè inglese, di solito nero, va servito con questa sorta di panini dolci da riempire con marmellata (spesso di fragole) e clotted cream (una crema a base di mascarpone, panna e qualche goccia di limone), deliziosa.

 

Poi c’è stato il dopo. Ossia i miei scones home made. Rispetto a quelli assaggiati fuori sono risultati meno panosi e più biscottosi (ma comunque molto morbidi), secondo alcuni, di parte, migliori:-). 

La sottoscritta non ha resistito e fra uno scatto e l’altro ne ha subito, subito mangiato uno con marmellata di rabarbaro (quella alle fragole non l’ho mai, ma proprio mai amata) e clotted cream (a questa proprio non resisto). Consiglio di fare lo stesso perché caldi sono tanto più "goduriosi":-).

 

Li ho trovati niente male anche come idea da importare in versione baby sia come merenda alla moda british sia come panino del mattino. Il formato è dai 12 mesi in poi, naturalmente, potete fare a meno dell’uvetta se il pupo non gradisce.

Chiaramente (qualcuno aveva dubbi?) ho apportato la mia piccola modifica e invece di usare tanto burro ho sostituito il latte con del buttermilch, semplice, semplice da reperire qui.

piesse: prometto prossima puntata su tè e infusi per bebè, datemi tempo di ritornare a casetta:-) 

 

Ingredienti

300 gr di farina

150 ml di buttermilch (potete usare latte e yogurt al posto del latticello)

50 gr di burro

1 uovo per spennellare

20 gr di zucchero
uvetta (se volete)

1 cucchiaino di baking powder o 1/2 bustina di lievito 

 

Procedimento

Facile e veloce. Mischiate farina e zucchero, aggiungete il burro e lavorate a manina. Versate il buttermilch ( regolatevi un po’ sull’impasto che non deve essere troppo bagnato). Aggiungete l’uvetta, finite col lievito. Stendete l’impasto (in mancanza di mattarello fate come me, l’ho spiattellato a mano), tagliate con formina o al coltello  (indovinate che ho fatto io?). Posizionate su carta da forno e passate al calduccio a 180° per 15 minuti. Se possibile mangiate subito, subitissimo.

Biscotti di riso soffiato: Alice’s baking

Non ho grande passione per l’inizio settimana. Però siamo a Londra e dopotutto devo sfruttare i due forni di cui è dotata questa cucina, senza pentole e tegami. E poi c’è Alice rimasta imbrigliata nel sistema prescolastico inglese che prevede a febbraio una settimana di half term. Niente di più facile per consumare il tempo di impasti e biscottamenti. 

La pupa ci si tuffa felice e contenta, aggiunge, aggiusta, assaggia e riassaggia.
Pretende ad ogni attimo di dosare il baking powder e riassaggia. La sottoscritta tenta, invano, di regolare e consigliare, di parare i colpi sull’obiettivo nuovo, nuovo e di salvare un minimo impasto (personalmente preferisco la versione dopocottura). Fortuna che la ricetta è di quelle semplici, a prova di pupo. Nel senso che quando hai in mano pochi ingredienti, niente da sbattere o frullare, puoi pensare di ottenere un risultato mangiabile anche con la pupa che pare essere uscita da uno di quei programmi di cucina di Gordon Ramsay (della serie fast and furious).

A Londra poi cucinare con i bebè sembra essere “so fashion”. Non c’è scuola, corso, club e pure supermercato (da Wholefoods c’è la kidsection il lunedì) che non abbia il suo angolo di “kidscooking”. E non c’è libreria dove non ci sia una bella sezione con le ultime novità “su cosa, come e quando cucinare con il bebè”. Come dire altro che cucchiaino.
L’idea è di sviluppare regimi alimentari sani creando consapevolezza fin da piccoli su ciò che si cucina e si mangia. Devo confessare che mi ha stupito quanto tutto questo sia diffuso proprio nel paese dell’English breakfast e gravy a gogo. O forse è proprio questa la ragione, voi che dite?
Pensate che un paio di anni fa il governo ha promosso una campagna di insegnamento obbligatorio nelle scuole di cucina, giusto insieme a matematica e abc francese.
Un vero e proprio piano di combattimento contro la diffusione sempre maggiore di obesità infantile che ha avuto nel Jamie nazionale il suo Ministry of Food. Nel senso che quest’ultimo si è lanciato nella rivoluzione dei costumi gastronomici, al grido rivoluzionario “Tutti possono imparare a cucinare” (non vi ricorda un po’ un certo topo in quel di Parigi?).

Certo, e che velo dico proprio io, questa pratica mi piace mucho. Tanto che uno dei prossimi lunedì pure l’aliociotta parteciperà alla sessione di cooking al nido ( e ci andrà pure io che voglio vedere!), caso mai le lezioni di mamma non fossero sufficienti:-).

Nel frattempo vi suggerisco questi link, uno dei quali è il sito di Annabel Karamel (grazie Smamma!), una vera istituzione in Gran Bretagna. date un’occhiata al sito e ditemi se sembra una bibbia di cucina per bambini (of course in Bristish style). 
www.annabelkarmel.com

www.thekidscookeryschool.co.uk/
www.letsgetcooking.org.uk/Home
www.guardian.co.uk/education/2008/jan/22/schools.uk1

 

Per tornar alla ricetta siamo ancora in territorio britannico e dintorni. Si tratta di biscotti di riso soffiato, divertenti da preparare ( dalla faccia dell’aliciotta) e da mangiare (parola di Mr B. che ha sgranocchiato dopo il ritorno dalle nebbie inglesi). Tre biscotti (dico tre) hanno subito la variante alice, ossia la sottoscritta per sedare la furia, ops per agevolare lo chef da furba souschef ha suggerito di creare biscotto sorpresa per papà. E così lo chef ha introdotto poco gentilmente, spiaccicando con le manine, il chicco di caffè cioccolatoso.

Tenete conto che il biscotto di riso soffiato è da sottoporre a formato dopo i 12 mesi.

Ingredienti

150 gr di farina
1 tazza di riso soffiato
1 uovo
50 gr di burro
50 gr di zucchero grezzo (o bianco)

scorza di limone bio
2 cucchiai di latte
1 cucchiaino di baking powder

 

Procedimento

Non ho seguito il procedimento tradizionale che prevede di preparare l’impasto e passarlo poi nel riso soffiato (indovinate perché?). Vi dico come li abbiamo fatti. Mischiato burro e zucchero fino ad ottenere una crema morbida. Aggiunto l’uovo e la scorza di limone. E subito veloce la farina per fermare il continuo assaggio. Risultava non troppo morbido e ho unito due cucchiai di latte (che potete evitare e aumentare di 20 gr il burro). A pioggia il riso soffiato. E girato, girato. Il lievito: in tante ricette non è presente ma desideravo si alzassero un pochino e quindi ci ho messo un cucchiaino di baking powder (se volete fare lo stesso usate un pizzico di lievito per dolci italiano).

Zuppa di pesce e latte di cocco: eglefino 2.

Di haddock e dintorni sapete ormai tutto, grazie alla prima puntata. Si dà il caso però che la sottoscritta di eglefino ne avesse acquistato parecchio al Fish Shop (sì, si chiama proprio così, tanto per non sbagliare). E che da un po’ stesse rimuginando sul latte di cocco e la possibilità di prendere l’ingrediente british e dargli una piccola rivisitazione, diciamo esotica.
Dopotutto Londra è una di quelle metropoli dove viene semplice fare qualcosa come cento passi e sentire gli odori di almeno dieci cucine diverse. E’ di sicuro una delle ragioni per le quali non mi stancherei di viverci (credo che sia pure uno dei motivi per cui qui mangerei a tutte le ore se il mio stomaco, poveretto, me lo permettesse). Nella mia lista ho già sbarrato la cucina malesiana, quella libanese (fantastique!), la giapponese (bè qui niente di nuovo), l’indiana con accenti europei (consumata da Zayka in Kensington Gardens in una delle due serate di libera uscita senza pupi), bè of course british autentica. Le ho provate tutte? Naturalmente no, ma ho buone possibilità viste le tre settimane ancora a disposizione.

Niente di meglio in questa città che sa ogni volta di posti lontani, che prendere dell’haddock e unirlo al latte di cocco. Qui è facile, basta guardarsi in giro, e ammirare la capacità di far convivere la tradizione con l’avanguardia più spinta. Non solo in cucina, ma anche dal punto di vista architettonico. Ad esempio: se camminate da St. Paul Cathedral verso il Tamigi, la Tate Modern con il suo Millenium Bridge si contrappone felicemente al Tower Bridge e alla Tower of London poco più in là. Diciamo circa un millennio di storia che si rispecchia negli edifici senza troppi problemi (nel senso di brutture architettoniche fatte). 

Se decidete di andare alla tate arrivate dal ponte, è spettacolare e munitevi di molto pazienza se, pur benedetti di nanna della pupa, avete con voi un Mr B. poco amante dell’arte contemporanea. 

Certo anche qui si è parlato in passato di speculazione edilizia (vedi la rapida crescita di grattacieli), nel complesso però finora l’impressione non è stata negativa come in altri posti.

E ci sono anche esempi di nuova architettura al servizio dei più piccoli (vedi il Childhood Museum a Benthal Green), dove in queste settimane ti può capitare, alla mostra Sit Down, di trovarci pure il vasino “ottocento inglese” o il primo esempio di chaise longue per la prima infanzia (altro che Le Corbusier).

Per tornare alla ricetta, considerata l’impossibilità di produrre una vellutata (vedi cucina sfornita di Mr James) ho deciso che era tempo di zuppa. Verdure tagliate piccole, piccole, unite a tocchetti di pesce e latte di cocco, a rendere il tutto più cremoso, vagamente dolce e profumato di luoghi poco inglesi ( devo dire che la ricetta mi ricordava una sorta di zuppa thai). E per finire del lemongrass che qui poco ci manca infili anche nel latte di pupi al mattino:-).

Tenete conto che per via della presenza del latte di cocco la ricetta è da sottoporre a formato di 24 mesi, ma se proprio volete cimentarvi basta rinunciare al tocco esotico, limitarsi a qualche cucchiaiata di latte o brodo vegetale e anche un bebè di 12 mesi non avrà alcun problema. Inutile dire che la zuppa con aggiunta di pepe e sale è ottima anche per mamma&papà.
piesse: se vi riesce impiattate in scodella un po’ meno british style della mia (cominciate a riconoscere il servizio di Mr James e il bordo della finestra dove ormai mi sono ridotta a fotografare?). 

 

Ingredienti

1 filetto di eglefino (o merluzzo all’occorrenza)
2 patate

1 porro
½ scalogno
½ tazza di latte di cocco

lemongrass
olio EVO

 

Pulite le verdure e tagliate a pezzetti. In una pentola mettete la cipolla con l’olio, unite le verdure, il lemongrass e girate. Bagnate con acqua o brodo e lasciate cuocere per una decina di minuti. Aggiungete il pesce e il latte di cocco. Cuocete fino a quando le verdure saranno morbide. La zuppa dovrà essere bella densa. Servite.

Long live the library

 

Ok, io avrei forse più volentieri intonato (per Alice non so) "Twinkle, twinkle little bat", non fosse altro per la simpatia nutrita dalla sottoscritta per il Cappellaio Matto. Ma metti una mattina, di solito mercoledì e venerdì. Tempo variabile, diciamo inglese.

Mettici una pupa, di solito molto lontana da essere "la bambina più brava del mondo". Mettici tutta la serie di parchi già solcati, gli scoiattoli già avvistati e i cigni che hanno già avuto due o tre chili di pane stravecchio.

Mettici la sottoscritta alla ricerca di una tata parallela, nel senso che io ci sono ma il mio cervello ogni tanto può farsi due capriole in lande non abitate da pupi. Ecco allora la salvezza: un posto caldo, calduccio, accessoriato di parcheggio per passeggino, di bambini quanto bastano per distrarre la mia, di canzoni, una sfilza, tutte rigorosamente british, da intonare sul tappetone. Lo ammetto: ci ho preso gusto. E’ un appuntamento che ormai non manchiamo e che ha il vantaggio di cadere proprio quando Alice non è al nido (I’m a lucky girl!).
Ed è uno dei primi posti dove siamo capitate. In realtà alla ricerca di libri, tanto per continuare l’abitudine ormai presa in Italia subito dopo il primo anno di pupi: fatta la tessera all’aliciotta, abbiamo cominciato con i prestiti (e devo dire che devo stare attenta che siamo già alle prime scadenze che qui non si scherza, potrei rischiare la condanna pubblica). 

Ecco, io non so come sono tutte le biblioteche di Londra e del Regno Unito, ma quella vicino a noi è  della serie "così la vorrei". Debitamente divisa per bambini e adulti (ok anche a casa lo è): qui gli spazi sono molto più estesi ed un bimbo ha veramente la possibilità di marcare il suo territorio (ad eccezione di pupi che è sempre alla ricerca di possibili fughe:-)).

C’è lo spazio relax (dove si canta e si fa baldoria vicino, vicino alle grandi finestre bianche) e lo spazio gioco e "come scelgo e cambio libro ogni cinque secondi". E poi i servizi, ossia "tutto quello che una struttura pubblica può fare al tuo servizio": canzoncine due volte la settimana, racconti due volte la settimana, corsi di cucina per papà single e bimbo una volta la settimana (sì, proprio per papà single, io ho cercato di iscrivere Mr B. non fosse altro per curiosità ma si è rifiutato), consigli per mamme alle prese con formato superbebè altre due volte la settimana.

Il tutto fa parte di un programma nazionale per diffondere i libri fin dai primi anni: a tutti i bambini viene regalato un "bookpack" che include un paio di libri. L’idea è quella di incoraggiare i genitori a condividere con i figli il piacere di leggere, guardare e scorrere un libro insieme (ecco qui).

Un’abitudine, abbastanza diffusa, è quella degli asili di portare i bambini in biblioteca: Alice ci è andata la scorsa settimana nel pomeriggio. Come? Pulman, monopattino, carovana? No, una corda. Sì una lunga corda alla quale tutti i bimbi devono attaccarsi e non mollare. La mia pupa era la più piccola, ma devo dire che se l’è cavata e nei giorni successivi non faceva che chiedere di una fune per uscire:-).

Un’altra cosa che mi ha stupito è l’enorme quantità di libri, cd, video e audiolibri a disposizione. Questi ultimi devo dire mi hanno messo una somma riverenza, soprattutto per i loro fruitori: spararsi in cassette "Le correzioni " di Jonathan Franzen non è questione da poco (giuro ho visto lì tutta la collezione). 

In conclusione:
– ho sempre amato le biblioteche, ma mai come qui (long live the library)

– su Twinkle, Twinkle e Old Mac Donald had a farm ci siamo, If you are happy è il nostro evergreen (grazie all’Iphone di Mr B.)

– su tutta una serie di canzoncine possiamo fare meglio

– prometto di impegnarmi coi gesti

– quasi impossibile opera di socializzazione (e refresh per il mio inglese), finito l’effetto rhymes torna superpupi e finiscono le capriole

Segnalo, caso mai capitaste da queste parti o voleste cimentarvi con le rhymes

http://www.londonpubliclibrary.ca/

http://www.rbkc.gov.uk/leisureandlibraries

http://www.rhymes.org.uk/

http://www.nurseryrhymes4u.com/

 

Last but non least: grazie a Miss Cia per aver messo a disposizione il suo controluce:-)