Un Fiorfiore di gelato. Pesche ingabbiate alla catalana.

Gelato, gelato e ancora gelato. Per le prossime cinque settimane il Cucchiaino ha accettato l’invito di Coop ed entrerà in cucina per preparare ricette dolci (ma anche no) alla scoperta dei setti gusti della linea Fiorfiore. 
E’ un’opportunità che la sottoscritta ha colto con piacere per svariati motivi. Il primo dipende dal fatto che il marchio Coop mi è sempre piaciuto per il tipo di comunicazione, il suo approccio ai piccoli produttori e per l’attenzione all’infanzia che ha sempre manifestato. Da qui la decisione di ospitare le prime dieci ricette di questa collaborazione per la prima volta sul Cucchiaino (e come sapete tengo a essere piuttosto gelosa del mio spazio personale).

 

Partita in questa nuova avventura, ho scoperto la linea Fior Fiore, nata e sviluppata per valorizzare produttori che lavorano materie prime di qualità ancora con metodi artigianali. Una filosofia che valorizza il territorio, il recupero delle nostre tradizioni e delle storie e passioni delle persone che si dedicano alla produzione di quello che portiamo sulle nostre tavole.

Un esempio è quello del gelato prodotto da G7, un’azienda a conduzione familiare bolognese (il nome G7 è stato scelto dal nonno per via dei suoi sette figli tutti dal nome con iniziale G) che utilizza materie prime eccellenti (dal latte alla panna alle uova fresche, dalla vaniglia Bourbon al Pistacchio di Sicilia) e processi di lavorazione finale manuali (ecco le nocciole, ad esempio del gusto suddetto, sono inserite manualmente, proprio come si farebbe nella mia gelateria del cuore:-)). 

Per la prima ricetta ho deciso di mettere insieme il gusto della crema alla catalana con delle pesche bianche acquistate ieri da un agricoltore locale nelle campagne venete, dopo una settimana di totale relax e vacanza.

Sono tornata col mio carico di frutta che al momento occupa l’intero frigorifero, ma è stato impossibile resistere, considerato che devo ancora comprendere perché faccia tanta fatica a trovare qui da noi albicocche e pesche e meloni così dolci e buoni. Naturale che con oltre cinque chili di pesche di svariate tipologie decidessi di declinarne una parte in una vera e propria ricetta che non fosse la semplice degustazione “lava e mordi”:-).  Dopo la versione risottata (ma quanto è buono il risotto alle pesche bianche), ecco la pesca alla catalana.


Personalmente adoro le pesche bianche che siano noci, tradizionali o tabacchiere, una passione che ha contagiato sia Alice sia la leoncina di casa (un anno e un pezzettino), che afferra il formato piccolo “saturnino o schiacciato”, tira un morso e consegna il nocciolo prima di continuare a sbrodolare. 

La versione ingabbiata, con spolverata di zucchero di canna, appena tiepida diventa una meraviglia col gelato. Io ho deciso di abbinarci la crema catalana, per via di quella nota alla cannella che mi ricorda quei dolci dal sapore invernale, molto “comfortosi”, da mangiare col cucchiaino. 
Ecco la ricetta. Per 4, di taglia golosa.
Ingredienti
4 pesche bianche
1 manciata di amaretti
1 rotolo di pasta sfoglia
zucchero di canna
1 confezione di gelato Fior Fiore alla crema catalana
 
Il procedimento? Estremamente semplice.
Lavate e tagliate le pesche a metà, eliminando il nocciolo interno. Tagliate il rotolo di pasta sfoglia con un losangatore se a disposizione (altrimenti aiutatevi con un coltello facendo tanti tagli verticali).
Rivestite la parte esterna della pesca con la pasta sfoglia, spennellate con del latte e appoggiatela su carta da forno. Riempite l’incavo interno con poco amaretto sbriciolato e spolverate con lo zucchero di canna. Procedete con il resto delle pesche in questo modo.
Cuocete in forno preriscaldato a 185° per 20 minuti circa.
Lasciate raffreddare le pesche per una trentina di minuti circa, quindi servitele riempiendo l’interno con il gelato alla crema  catalana. 
 

 

 

 

 

Minipolpettoni a sorpresa

Era da tempo che il blog non rimaneva abbandonato tanto a lungo… in questo mese è stato un sussegursi di cambiamenti, che ancora non sono finiti. Rifatte le valigie siamo rientrati da Barcellona, e mi sono catapultata nelle ultime ricette da fotografare per il prossimo libro. Nel frattempo ho terminato i testi (introduzione compresa, che è sempre la più complicata:-)), ripreso in mano gli altri lavori, scelto le tre ricette esterne da far entrare nell’ultimo capitolo e versate qualche lacrima alla festa di fine anno di Alice (ehe, evento importante perché a settembre comincia la scuola…). E poi il blog ha compiuto quattro anni. Il tempo vola…

Il periodo intenso pare non essere terminato (considerato che abbiamo un trasloco di casa fra un mese per il quale sto già pregando di sopravvivere), però devo ammettere che mi sto godendo almeno la fase di impaginazione del libro: è meraviglioso come i materiale, testi, ricette, foto e disegni assumano l’anima che tu avevi nella testa. E per me di solito irrequieta, presa da mille idee diverse, è un periodo di calma (qualcuno direbbe apparatente). 

Comunque veniamo alle cose importanti. Ora lo so. In Italia abbiamo tanti chef di alto livello, ma a casa sono pochi gli uomini che cucinano. O almeno questo ho pensato considerata la scarsa raccolta di ricette esterne. 

Rispetto al Cucchiaino c’è una novità perché due ricette sono di papà che si improvvisano cuochi, una invece è di un papà che cucina per lavoro visto che è uno chef (per di più stellato:-)).

Saranno con noi quindi nel capitolo "Lo faccio con papà", Peter e Luca, e Marco con i suoi 4 bambini. Invece la terza ricetta è dello chef Giancarlo Morelli del ristorante Pomiroeu che ha cucinato per noi con il figlio Guglielmo. 

 

Ecco del libro ci sarà tempo di raccontare prima dell’uscita autunnale, meglio tornare in cucina che qui pare non lo si faccia per nulla ormai:-)

La ricetta è di quelle da "non ho tempo, sono di corsa e delego il più al forno". Mini polpettoni. La cosa strana è che la sottoscritta era la prima volta che si cimentava nel genere, qui a casa conosciamo variazione di polpette di ogni tipo, di polpettoni no.

Ho voluto stare sulla tradizione, scengliendo un impasto a base di carne, ma introfulando all’interno una sorpresa che ha fatto giocare a nascondino l’Aliciotta . Una volta scovata la sorpresa veniva assaggiata o passata alla piccolina di casa.

Ho utilizzato un macinato di manzo e vitello, con l’aggiunta di patate lessate e schiacciate, erbe fresche, scorza di limone, parmigiano e uova.

E poi verdure a sorpresa all’interno: carote, zucchine, fave e pomodorini. Che potete variare a vostro piacimento.

La ricetta.

Ingredienti (per 4)

500 g di macinato di manzo e vitello

2 patate lessate e schiacciate
2 carote

una manciata di pomodorini

1 zucchina baby

una manciata di fave sbollentate

timo limonato, basilico e maggiorana (o altro a vostro piacere)
2 uova
2 cucchiai di Parmigiano Reggiano
1 cucchiaino di scorza di limone

un pizzico di sale

Si fa praticamente da solo:-). Mescolate la carne con le patate schiacciate in una ciotola, aggiungete le uova, amalgamando per bene gli ingredienti. Unite quindi le erbe fresche sminuzzate, la scorza di limone e il parmigiano. 
Io ho poi preparato delle versione mini utilizzando i contenitori da plumcake piccole, rivestiti da carta da forno. 

Li ho riempiti fino alla metà con l’impasto di carne, ho posizionato nel mezzo una carotina o una piccola zucchina, in altri ho intervallato carote e zucchine coi pomodorini e le fave.  

Ho finito di riempire i contenitori con altra carne, ho spolverato con una manciata di pangrattato, e bagnato con un filo di olio d’oliva.

Infine via in forno per circa 30-40 minuti a 185° (forno statico).

Rosso gazpacho e Tibidado

Le settimane stanno volando in una primavera barcellonese che a dire il vero fatica ad arrivare anche qui. Del tipo che al mare siamo stati giusto una domenica e ho dovuto persino recuperare un terzo ombrello dal bazar cinese all’angolo. 
Il tempo freddino ovviamente ha coinciso con raffreddore e febbre delle pupe, cosa che ci ha relegato in casa due giorni, mentre la sottoscritta pregava in silenzio Saint Jordi (alias patrono ufficiale di ogni catalano che si rispetti) di porre fine alla reclusione. I risultati? Sono assolutamente non in pari coi testi del prossimo libro (a proposito aspetto le vostre ricette!!), ma recuperò nel weekend (giurin giuretta) perché la tabella di marcia prevede di chiuderli prima del rientro.

Ho aperto la cucina con Alice e ci siamo divertite a fotografare insieme, cosa che mi mancava tantissimo nell’ultimo anno. 

Ne è nata una ricetta supersemplice (avevamo a disposizione quell’oretta di sonno di Lea) utilizzando i pomodori e le fragole che avevo preso il giorno prima al mercato di La Llibertat durante il solito giretto mattutino con la pupetta. 
Ecco una cosa che mi ha veramente stupito è di quanto le fragole siano buone qui, mentre in Italia ho sempre snobbato i grossi fragoloni di origine spagnola.
C’è da dire che qui hanno dimensioni molto più piccole (quelle che alla fine dovrebbe avere una fragola di stagione, senza troppe manipolazioni) e un color rosso brillante. E ultimo, ma non meno importante, si mantengono per giorni in frigo senza ammuffire appena vedono l’uscio di casa.

In queste settimane ne siamo diventati consumatori accaniti, tanto che le fragole sono finite persino nel gazpacho. 
La ricetta si fa da sola: frullate una ventina di pomodorini maturi con cinque o sei fragole belle dolci, un cucchiaio di olio ma anche due, un pizzico di sale e una manciata generosa di basilico.
Quindi servite con cubetti di pane croccante e un filo di olio a crudo.

Sarà per il bicchiere (qui non avevo niente di meglio a disposizione) sarà per via del tavolo ma questo gazpacho ha il sapore delle cose di una volta.

Un po’ come il parco giochi dove siamo stati sabato scorso con le bambine. 

E ineffetti è il Tibidado è il parco giochi più antico d’Europa. 

Dalla montagna del Tibidado (circa 500 metri di altezza) si gode il panorama più ampio e spettacolare su tutta la città, alle spalle la chiesa del Sacro Cuore e tutt’intorno giostre di ogni sorta: montagne russe, trenini, un grosso pendolo che ti porta in alto in alto, un piccolo aereo rosso un po’ retrò (di cui personalemnte mi sono innamorata, lol!).

Vedete il carosello qui sopra? C’è stata una scena esilerante quando Alice, rendendosi conto che stava per finire il giro, è corsa sotto e ha cercato di salire su un secondo cavallo:-)

In realtà, tenete conto che i bambini sotto i 120 cm pagano un biglietto di poco più di 7 euro e hanno diritto a giri illimitati…

L’aereo rosso…

Il pendolo…

 

E gli sposi felici:-)

piesse: e infine ecco chi fotografa per il  Cucchiaino:-)

Le pupe di pane. Buona Pasqua!

Impastare è un gesto antico: elementi semplici che con il passare delle ore prendono vita e assumono forme infinite. Come quella delle bambole con le uova per Pasqua. Si tratta di una tradizione che mi ha sempre affascinato e che attraversa regioni e cucine diverse. Un tempo si modellevano queste bambole nell’attesa della domenica di rinascita. I bambini avevano poco o nulla e queste pupe di pane, molto spesso dolci, erano un regalo speciale. 

Ho preparato l’impasto la sera con la pasta madre: desideravo una lievitazione lunga, che sapesse di attesa e coccole. E ieri abbiamo impastato creando le nostre bambole. Tre: ognuna con il suo uovo, uno più grande, gli altri due più piccoli. 

Siamo noi: e già la sensazione di dirlo mi ha emozionato. Ci sono io, con il mio carico di anni e attese, e ci sono loro, le mie piccole donnine con mani cuoriose e piedi alati. 

Mi è parso il modo migliore per augurarci e augurarvi Buona Pasqua.

Dopotutto la Pasqua è un po’ come la primavera, o almeno questa è ciò che credo. Un’occasione di rinnovamento, "un passare oltre" l’inverno e l’oscurità verso nuova vita. E ogni volta possiamo ributtare la "palla" in alto e ricominciare da capo. O quasi.

 

Ho scelto, invece della versione dolce, un pane salato da utilizzare per la tavola di Pasqua (se sopravvive!)

Ingredienti

250 g di farina manitoba

200 g di farina 00

100 g di farina integrale

100 g di ricotta di pecora

2 cucchiai di olio d’oliva

1 cucchiaio di parmigiano

sale

zucchero

lievito di birra secco o fresco (o pasta madre)

uova (bianche o di quaglia o tradizionali)

semi di papavero e sesamo

(curcuma)

Procedimento

Se utilizzate il lievito di birra (fresco o secco), sciogliete quest’ultimo in mezzo bicchiere di acqua tiepida con un cucchiaino di zucchero o miele. Setacciate le tre farine e mescolatele insieme all’olio e al lievito. Sciogliete in un biccheire di acqua tiepida un cucchiaio scarso di sale e aggiungete all’impasto. Unite la ricotta e il parmigiano e impastate. Se l’impasto risultasse troppo secco unite altra acqua. 

Lavorate per dieci minuti circa fino a ottenere una palla compatta ed elastica. 

Posizionatela in una ciotola leggermente unta di olio, coprite con della pellicola unta di olio e mettete a lievitare in luogo caldo (circa 30°) per un paio di ore.

L’impasto dovrà triplicare di volume. 

Riprendetelo e ricavate delle porzioni per modellare le bambole. Appiattite una palla a triangolo, una pallina per la testa, delle noci di impasto per i piedi, delle piccole strisce per i capelli. 

Ricavate dei sottili salsiciotti per le braccia. Spennellate le bambole con olio e latte, appoggiate sulla pancia l’uovo e fermatelo con le braccia. Decorate la veste con semi vari (ed eventuale curcuma). 

Lasciate lievitare per un’altra ora, quindi preriscaldate il forno a 190°. Cuocete il pane per 30 minuti circa. 

 

 

La pastiera degli eretici con gli ovetti sopra

Ho cominciato a pensare a Pasqua da settimane. Prima con la ricerca di uova candide, candide, per lavoro, poi a causa di un simpatico pulcino, quindi con lista di quello che sarà il pranzo (che vede dei gnocchi non ti scordar di me in pole position:-)). Giorni fa, complice l’arrivo di ovetti mignon per la pupa grande, ho voluto sperimentare una versione personale (e direi molto eretica della pastiera). Ho mantenuto l’idea, profumato con l’essenza di fiori d’arancio (come pastiera comanda) ma ho eliminato il grano (non l’avevo a casa e avevamo voglia di dolce quanto prima!). E’ nata questa torta, friabile, morbida e dolce al punto giusto, perfetta per i miei coinquilini.

Una crostata bella da vedere ma veloce da preparare che sa di primavera e Pasqua. In mezzo c’è finito un nido di scorza d’arancia (ecco, qui è nata una vera e proria ricerca sul perfetto rigalimoni per questo genere di lavori…) e ovetti fondenti eccetto uno. Pare un nido, pare un fiore, su un manto di bianco candido. Meraviglia!

Per la crema ho creato a modo mio e l’esperimento mi è piaciuto molto: ricotta (vaccina, nel mio caso), latte,  zucchero e un cucchiaio abbondante di maizena. E il profumo di fiori d’arancio. 

Per la frolla ho utilizzato solo tuorli e alla farina 00 ho aggiunto della fecola di patate per un risultato più leggero e morbido. Non ho esagerato con lo zucchero, e pure la pupetta di casa ha fatto il suo assaggio.

Essendo, dopotutto, parente lontana di una pastiera, invece della scorza di limone nell’impasto è finita scorza d’arancia.

E considerato che nei prossimi giorni i pupi si aggireranno per casa (perché le loro vacanze sono sempre così lunghe:-)??), è una buona idea da preparare insieme!

Ingredienti

200 g di farina 100

100 g di fecola di patate

2 tuorli

100 g di burro

80 g di zucchero

scorza di limone

un pizzico di lievito o cremor tartaro

 

Per la crema

250 g di ricotta vaccina

1 bicchiere di latte (circa 80-90 ml)

50 g di zucchero

1 cucchiaino di essenza di fiori di arancia 
1 tuorlo

 

ovetti di cioccolato

scorza fine di un paio di arance bio

zucchero a velo

Procedimento

Setacciate la farina e la fecola e il pizzico di lievito insieme, mettete su una spianatoia e aggiungete i tuorli e lo zucchero.  Cominciate a mescolare insieme ed aggiungete il burro ammorbidito a temperatura ambiente. Lavorate fino a ottenere una palla, avvolgete nella pellicola e lasciate riposare in frigo per 30-40 minuti.

Intanto preparate la crema. Sciogliete lo zucchero nel latte tiepido, lasciate raffreddare, quindi mescolate la ricotta con il tuorlo, lavorando fino ad avere una crema omogenea. Aggiungete un cucchiaio di maizena e il latte a filo (la crema non deve risultare troppo liquida, quindi se ha la consistenza corretta, smettete di unirne). Mescolate. Unite un cucchiaino di fiori di arancio (anche di più se vi piace:-)). 

Riprendete l’impasto, stendetelo e rivestite una teglia da crostata di 20 cm circa. Con il pollice o un bastoncino di legno segnate le scanalature sui bordi (è una crostata, no?). Con una forchetta fate dei piccoli fori sul fondo, quindi riempite con la crema livellando per bene.

Cuocete in forno a 185° per 40 minuti circa. Lasciate raffreddare per bene, poi disporre al centro, in maniera circolare, della scorza di arancia sottile come fosse un nido e poi nel mezzo le ovette di cioccolato. Coprite il centro con un cerchio di carta argentata e spolverate la parte restante con zucchero a velo.

Primavera, equinozi e piselli!

Pensi che la primavera stia tutta in una riga di poesia. Con quel 21 ben stampato nella memoria: questione di luce, giornate che si fanno tiepide e rami che si colorano. Bene, così è ma si tratta di equinozi. E quest’anno, e quello dopo e quello dopo ancora, la primavera arriva il 20. Niente 21. E per una che aspetta il 21 a primavera per tutto l’anno, nemmeno fosse Natale o il compleanno, questa cosa è destabilizzante. Metteteci una settimana di grigio, Lui via oltreoceano e pochissime forze per macinare i devo. 

Poi basta una giornata di sole, una manciata di piselli freschi e una pupa al seguito dal "verduriferofruttivendolo" e tutto cambia.

 

"Mamma, i piselli! Li prendiamo?". Ultimamente ho un fruttivendolo che mi procaccia di tutto e di più, cose impensabili e improbabili (e di cui a volte mi vergogno, sob!) per lavoro. Tipo quando a febbraio, sotto la neve, ho cercato gli asparagi o l’altra settimana ho chiesto della possibilità di rintracciare dei cachi (poi eliminati dalla lista di foto possibili…).  

Il lato positivo è che le sue origini siciliane fanno in modo che trovi da lui arrivi che sanno già di primavera. Come i piselli. Ammetto che la sottoscritta, nel suo tour lavoro-foto-asilo-spesa al volo di cose dimenticate- ritorno alla base, i piselli li aveva un po’ snobbati. E guardato scettica chi affermava che erano ottimi crudi. 

Li ha testati Alice: sgranati lì e mangiucchiati come fossero caramelline verde smeraldo.

"Mamma, sono dolci!". 

E cosa può fare primavera se non una sgranatura di bacelli? Questa è stata veramente speciale, consumata in compagnia anche della più piccola di casa, dedita soprattutto all’assaggio dei bacelli, lol!

 

Lo spettacolo delle mie due primavere mi ha riconciliato con con tutti quei devo che occupano troppi spazi della mia giornata ultimamente.

E come primavera comanda i piselli sono finiti in una preparazione di quelle tanto semplici da parere banali nel "perché non ci ho mai pensato?".

Crudi, sì, crudi, marinati per un’oretta in una citronette a base di olio extravergine, limone, erbe selvatiche altoatesine (ortica, calendula, fiordaliso, timo etc..) in sostituzione della menta fresca che non avevo (e che consiglio vivamente!) e pezzetti sbriciolati di feta.

 

Vi auguro buon inizio primavera e vi rimando a questo link qui per donare tante primavere a chi sta cercando di camminare verso casa!