Macedonia cotta. Marzo pazzerello.

Dopo aver capito perché, come mi ha scritto un’amica, gli inglesi parlano sempre del tempo, mi sono resa conto che sono settimane che pure io sto peggio di una sentinella a spiare che succede nel cielo. Oggi nevica. Tutti o quasi, bè eccetto i bambini, si stano lamentando per la neve. E la sottoscritta? Osserva, tra il divertito e o stupito, dopottutto non c’era quel detto "Marzo pazzerello, splende il sole, prendi l’ombrello".  E per le pazzie ho sempre avuto un debole:-).

Sono metereopatica, nel senso che se piove per tre giorni con cielo grigio potrei pensare di esporre il mio scaccia pioggia. Se invece il sole, la pioggia e la neve si susseguono bellamente il tutto mi affascina: i mutamenti, di tempo, luogo e guardaroba, hanno il potere di rendermi quasi euforica. Tutto fuorché la noia (e ho pure il coraggio di chiedermi perché ho un’aliciotta e non il bambino più bravo del mondo:-))

Stamattina pure la pupa ha avuto il suo bel momento da casetta a santo asilo. Stivali da ciak-ciak, osservazione "ma la neve fa rumore" e consiglio alla mamma "fai una fotografia che è bello?". Probabilmente ormai vede la Canon come un prolungamento della mia mano destra.

A proposito di neve e proverbi, invece guardate qua: "Bene sto, che buon cuore ho" o qualcosa del genere. Della serie niente paturnie meterologiche ( e te credo, chi le avrebbe in Val di Fex?).

Tutta queste neve, questa calma zen (ma sono io, proprio?) si è tradotta in cucina in una di quelle preparazioni facili che mi riportano bambina. 

E voi direte, frutta cotta "tipo sono a letto, lettuccio, malato, malatticcio".  Sì ma non proprio. Questa è una macedonia, la frutta viene cotta, ma tutta intera (picciolo compreso) con sciroppo d’acero (di agave) e cannella, giusto un cucchiaino di acqua tiepida o succo di mela o arancia (questo verso i 12 mesi). Una volta cotta, la riprendete, tagliate con tutta la serenità possibile (io ho la neve che cade leggera a rendere tutto più semplice). 

Se poi non vi manca il tempo e la voglia potete anche infornare, giusto delle cialde da inzuppare nel brodino "macedonia".

Per le cialde il formato è 12 mesi (per via dell’albume), per la macedonia, eventualmente passata o schiacciata, bebè 6 mesi.

Il che cosa, e i come? Naturalmente nella macedonia ci va frutta inverno-inverno (tipo pera, mela, mela, pera, pera, mela, giusto succo d’arancia), niente divagazioni esotiche mi raccomando. 
Per le cialde montate un paio di albumi a neve con un paio di cucchiai di zucchero di canna. Aggiungete due cucchiai di farina con un tocchetto di burro (circa 30-40 gr), insaporite con cannella e nocciole sbriciolate. Fate cadere cucchiaiate di impasto su carta da forno. Passate a 170° per una decina di minuti. Qui viene il difficile. Munitevi di mattarello imburrato e appena la cialda è dorata, sollevate con paletta e depositate sullo strumento. Dovete dare la forma: vi basteranno due minuti e qualche implorazione:-).

 

 

 

Il lago a fine inverno

Prendete una mezza giornata di fine inverno, il sole pieno, l’aria tersa, il lago che pare immobile, quasi livellato. Primo pensiero? Ormai è primavera. Sì, ma non ancora. Proprio questo essere tra, il sentirsi lievemente sospesi, in giornate così limpide da poter essere solo respirate, mi hanno messo addosso una leggerezza di quelle che ti faresti una risata sbarazzina ogni momento.

E’ da matti? Date a colpa al sabato. Cominciato lento, programmato sulla neve e finito con una mezza giornata a zonzo sul lago.

A una settimana dal ritorno a casa, dopo un mese e un pezzo di totale irrequietezza da “non posso stare ferma a Londra”, mi sono riconciliata.

Ho risolto un inizio di mal di terra con un assaggio di lago che più in sospeso di così non poteva essere. Ecco se uno pensa “fine inverno, inizio primavera” deve andare a farsi un giro sul lago: uno dei rami, a vostro piacimento.

La luce in giornata buona è quasi estiva, i profili sono netti fra acque, riva, case, le inquietudini lacustri da acque profonde sono tenute lontane dalle papere che vanno "slow", le montagne imbiancate sono lì a ricordare che dopotutto la temperatura è di poco superiore allo zero. Il tempo è cadenzato da arrivi e partenze, perchè dopottutto è vero che il lago non è il mare ma i porti sono ovunque, i rumori sono così silenziosi che fatichi a sentirli.

E il vento, le vele? Per ora sono solo nomi abbandonati sull’acqua.

 

Ho ancora negli occhi la luce, le pedalate (le prime!) di Alice e un pranzo all’aperto, riva lago, che sa di “fine inverno- inizio primavera”.

E la cucina? Bè pieds dan l’eau ho scoperto le patole, ravioloni impastati con patate e farina (prometto di cimentarmi prossimamente), a casa invece mi sono portata pesce di lago: salmerino e persico.

Il secondo è stato risottato, mentre il primo, formato perfetto in fase svezzamento, è diventato complice di una vellutata dai sapori ancora invernali. Qualcuno chiederà: che sarà mai ‘sto salmerino? Col salmone niente a che vedere, è più vicino alla famiglia delle trote, ricco di grassi e Omega 3 e vive vicino, vicino a laghi e montagne alpine.

Il salmerino l’ho fatto cuocere al vapore su un letto di erbe fresche (aneto, fincchietto selvatico…) e poi ho servito i filetti interi. Nel caso di bebè potete semplicemente passare o schiacciare il pesce nella vellutata.

 

Ingredienti (per tre)

2 filetti di salmerino

2 finocchi

1/2 patata

olio EVO

aneto

finocchietto selvatico

(sale, pepe e scorza di arancia per mamma&papà)

 

Procedimento

Facile: fate una vellutata come al solito (niente di nuovo, no?), pulite, tagliate le verdure, aggiungete acqua, fate cuocere e passate con olio EVO. Nel frattempo cuocere al vapore i filetti di salmerino su letto di erbe per una decina di minuti (io ho fatto così). In alternativa potete anche passarli leggermente in un trito di pane bianco secco e erbe e farli dorare in padella con un pezzettino di burro. Servite la vellutata con i filetti di salmerino e finocchietto selvatico (potete usare anche la barbetta del finocchio).

Nel caso di bebè sotto l’anno o difficile alla masticazione

 

Tutti pazzi per il kidscooking

Da noi si parla di cucinare per i bambini, di cucinare con i bambini, poco o nulla di pupi ai fornelli (bè si fa per dire). Vi pare impresa impossibile? Idea balzana? Oltremanica è kidscooking mania, nel senso che non c’è asilo, scuola e a volte pure supermercato, ristorante o vip (e figlio di vip) che non ci abbia fatto il suo bel pensierino.
E’ naturale che pure l’Aliciotta avesse il suo momento. Di tutta la faccenda ho apprezzato diverse cose, ma di sicuro la corda, lo scambio di opinioni fra pupi e chef e la degustazione di focaccine bè rimangono da ricordo.

A Primi Passi (il nido londinese di Alice fino a settimana scorsa) i bambini cucinano un paio di volte al mese. In compagnia di Marcel: carino, simpatico, e pare bravo (o forse ben introdotto:-)), visto che si è cimentato pure con Lourdes (siamo in zona Madonna, of course la cantante). E il tutto, sorprendentemente, è la cosa più naturale di questo mondo. 

Come? 
Si tira fuori la corda. I bimbi si attaccano, trasbordano dalla navata della chiesa adiacente e si dirigono alla cucina. Alice compresa. E qui la sottoscritta ha capito cosa acquistare al ritorno a casa.
Cappellino da chef, sedia formato pupo e tavolo dove pasticciare. Alice è stata fortunata: è capitata nel giorno focaccia. E questo deve averla messa su di giri. Ha impastato, assaggiato (che c’erano dubbi?), ha pulito pazientemente il rosmarino, ha affondato un paio di dita per i buchi, e ha cercato di fregare l’impasto al vicino con la scusa che a lui mica piaceva cucinare. E intanto Marcel distribuiva olio, farina, acqua e salamoia per spennellamento. E io tentavo ad altezza gnomo di evitare impastamenti sull’obiettivo (gelosa della macchina? Sì, soprattutto contando che volevo usarla nei giorni che restavano).
Ognuno ha dato la sua forma, ha spiattellato sulla carta da forno , solo una è riuscita a trafugare un pezzo di impasto (caso mai le venisse fame prima che fossero sfornate le focaccine). Provate ad indovinare chi?

Ho capito che i bambini non dimenticano nulla, ma proprio nulla quando pupi ha ripreso "Marccellooo", lo chef, che apriva il forno per controllare le focaccine.

Devo aver creato aspettative troppo alte sulla crescita dei nostri dolci da estendere il pensiero a tutto quello che necessita di una lievitazione.
Caso vuole che rispuntasse la corda per ritornare al nido e, come dire, pare che l’aliciotta per ‘sta corda abbia sviluppato vera e propria passione, soprattutto se le riesce di mettersi in pole position.
Naturalmente i pupi si mangiano tutto quello che  cucinano (e se no che soddisfazione c’è?) e gentilmente lo offrono al loro ritorno a genitori&parenti entusiasti. E anche qui ho capito un’altra cosa. Alice si è mangiata parte delle focaccine, mi ha fatto giusto fare un morso e ha gelosamente conservato per Mr B. 

Mi è rimasto invece un grosso interrogativo. Qualcuno mi deve spiegare perchè il paese del gravy è riuscito ad inventarsi il kidscooking, con tanto di politica governativa ed educativa a seguito e noi siamo ancora lì a chiederci se il nostro pupo maschio ci debba proprio giocare ai cucinamenti? Indi per cui più corda per tanti e kidscooking per tutti. 

 
 

 

 

 

 
 

Happy weaning: crema di pastinache

L’ho pensato per settimane nel flat londinese che una delle cose che mi mancava di più (oltre il sole) era Mr K.Aid. E’ stato bello ritrovarsi, persino Alice è venuta fuori a mimare il suono (lo so l’ho traviata, completamente). E c’era quel chilo di pastinache, trafugate sapientemente in valigia, e la vocina che mi diceva "Manca una pappa, manca una pappa, di quelle che sanno di svezzamento, bebè e sputacchiate".

 

Il cucchiaino si è impegnato e voilà la pappa di inizio svezzamento british, a base di radici, tuberi e frutta. Perché è vero che paese che vai svezzamento che trovi (vi ricordate il consommè japp? magari no, che il blog era ggiovane), anche se le basi poi non cambiano di molto, ad esempio l’inizio, sesto mese, l’uso del cucchiaino, evitare ingredienti che possano dare allergie (vedi molluschi, uova e agrumi) e il no-no a sale e zucchero.
Spulciando in rete e sfogliando la bibbia di Annabel Karmel che mi sono portata a casetta mi sono subito resa conto come nello svezzamento si rispecchi quello che succede banalmente facendo cento passi a Londra.
C’è la cucina tradizionale british fatta di pie, pudding e radici, ma anche di avocado, coconut milk, mango, patate dolci e erbe che non siano il solito rosmarino o salvia. Ed è naturale che si trovino primi assaggi di pezzettini di avocado, pappe profumate di coriandolo e allungate con latte di cocco o mash a base di patate dolci e pastinache.

La mia opinione? Bè una che non ci ha pensato molto ad alternare a pasta e riso bulgur e cous cous non può che apprezzare, chiaramente ricordando la regola inglese del "four days": ossia assaggio di boccone nuovo, attesa di quattro giorni "scongiura allergia".

 

Potevo seguire gli inglesi e con le pastinache fare uno di quei mash con cui nei tempi addietro erano soliti accompagnare pesantissimi spezzatini di carne innaffiati da gravy. Ho preferito una vellutata, della serie comfort food dove si sprigionasse il sapore fresco e dolce dopo la cottura di queste radici. Perché dopo due giorni di overdose sole (mi pareva talmente primavera che ci mancava poco uscissi in t-shirt alla moda anglosassone) oggi mi pare  di essere ripiombata nell’inverno grigio con nemmeno la scusa del tempo variabile all’inglese (ergo, impossibile che fra un’ora splenda il sole). Sì direi che sono una ragazza profondamente metereopatica. Nel frattempo Alice si conforta con la vellutata e io con la convinzione che i 21 marzo non è lontano.

Il ramo è inglese, foto scattata a St. James Park il 21 febbraio.

 

La pappa è formato 6-7 mesi, quindi primo svezzamento. Se proprio le pastinache non le trovate potete sostituire con carote ma non è ovviamente la stessa cosa:-).  Per la versione mamma&papà consiglio semplice aggiunta di sale e scorza di limone.

 

Ingredienti

2 pastinache

1 fetta di mela

1/2 patata dolce

1 cucchiaino di olio EVO

1 cucchiaino di parmigiano reggiano

 

Procedimento

Pulite le verdure, tagliatele a pezzi come la fettina di mela. Fate bollire in acqua fino a quando sono morbide. Passate al mixer con un cucchiaino di olio 

Evo e l’acqua di cottura. Servite (eventualmente con parmigiano).

Scones al cheddar: so british

Ho passato il weekend in viaggio. Naturalmente Londra- Milano dura un attimo ma ho continuato a sentirmi sospesa da venerdì (giorno prima della partenza) a domenica (giorno dopo l’arrivo). Sarà la casa con quel parquet scricchiolante che ancora mi pare di sentire, saranno quelle valigie con ben 11 chili di extra che Mr B., vista la grazia che ci ha fatto un non inglese all’aeroporto, 

mi ha perdonato con una risata quando dall’ultimo  trolley ci ha estratto pure un chilo di pastinache (“e queste che cavolo sono?”). Sarà tutta quella Londra che ancora sento addosso. Poi oggi è cambiato tutto: è lunedì, è marzo e qui c’è il sole, ma proprio sole, pieno e sfacciato.

La cucina a casa non ha ancora riaperto, in compenso venerdì, munite di doppio forno londinese, con Alice abbiamo sperimentato la versione salata degli scones.

Perché insistere vi chiederete? Innanzitutto sono tipo maniacale, di quelli che scoperta una cosa (sia uno scrittore sia un regista sia una tipologia british di radici) poi devono immancabilmente sperimentare la serie. Secondariamente, fatto da non sottovalutare, nel frigorifero giaceva una fetta di cheddar di Neal’s Yard (vi ricordate del Borough Market) da far fuori.

Ecco il cheddar  è uno dei pochi e rari formaggi che parlano inglese. Provate a pensare a qualcosa di profondamente e banalmente british. I bus a due piani, rossi. I cab neri (mi spiegate perché gli inglesi sono riusciti a conservare dei taxi che ti viene voglia di salire ogni volta che ne vedi uno?). Il Big Ben uno pari con il Tower Bridge e ormai pure con il London Eye.

Gli scoiattoli di St. James Park e i cigni di Hyde Park. L’Alicetta in cabina rossa (ok questo per la sottoscritta). Sorry, please e grazie, thank you. La pioggia.

 

L’ora del tè e Mind the gap. Il pudding, i pies. E gli scones.

Tenete conto che, come la versione dolce, lo scone si presta al formato 12 mesi, perfetto come pseudo panino morbido da mordere. La mia modifica? Abbassato la dose british di burro e lavorato con qualche cucchiaio di buttermiclh. E profumato con timo.

Naturalmente lo scone salato si presta ad innumerevoli variazione: potete sostituire il cheddar con parmigiano piuttosto che formaggio tipo Emmental o latteria poco stagionato (per bebè sui 12 mesi), o introdurci delle verdure cotte (patate, zucchine ad esempio).

piesse: ancora per qualche giorno il cucchiaino sarà in versione british, non fosse altro per farvi vedere come utilizzo il chilo di pastinache in formato inizio svezzamento

 

Ingredienti

200 farina

50 gr di burro

2 uova

60 gr di cheddar grattuggiato

timo

1 bicchiere di buttermilch (o latte e yogurt), q.b. per lavorare l’impasto

1 cucchiaino abbondante di baking powder (o mezza bustina di lievito istantaneo)

Procedimento

Simile, simile a quello degli scones dolci (anche se dovete ricavare dei panetti più bassi). Impastare farina (nella quale avete stemperato il lievito) e burro con le dita, mescolare il formaggio grattuggiato, un pizzico di sale e il timo. Aggiungere le uova sbattute (lasciate un paio di cucchiai per spennellare). Aiutarsi con il buttermilch per lavorare l’impasto. Dovete ottenere una consistenza morbida ma che possa agevolmente essere stesa per poi ritagliare i tondi.

Su carta da forno ricavate delle forme tonde non troppo alte (circa 1 cm), spennellate e passate a 180° per 10-15 minuti. Potete mangiarli caldi, caldi vuoti oppure anche tagliare e imbottire con prosciutto, salmone affumicato (sopra i 24 mesi) o del formaggio fresco. 

 

 

About roots: soba e ragù vegano

 

Sarebbe bello poter gironzolare tutti i santi weekend al Borough Market, causa divieto di Mr B. capita che la spesa la sottoscritta la faccia su e giù per la via principale. Una sorta di discesa, nel senso che il tragitto è piatto, piatto, ma la scelta del dove va dal più nobile (e decisamente costoso) Whole Foods al popolare Tesco con la tappa purgatoriale di Marks&Spencer.

 

Inutile dire dove vorrebbe cadere la mia scelta. Doveroso aggiungere che posso considerarmi una shopping addict nevrotica e poco, pochissimo abituale. Della serie difficile poter appiopparmi una categoria. Se questo era chiaro per tutto quello che concerne abbigliamento e arredamento, decisamente devo farci entrare pure il cibo, almeno qui a Londra. 

Siete alla ricerca di bio? Volete sapere, ma proprio sapere che le vostre pastinache sono di Mr  Paul, coltivatore da tre generazioni e appassionato di tuberi? E’ facile che tra uno scaffale di zucchine del Sud Africa e barbabietole british, vi venga spiegato tutto per filo e per segno sia all’inferno sia al paradiso. Questa cosa, lo ammetto, mi fa impazzire nel senso che mi spinge all’acquisto. Grazie al cielo c’è pupi che scalpita e distrae e vuole immancabilmente toccare. 

Poi capita che oltre al packaging, oltre al racconto con tanto di foto a chilometri zero, si aggiunga il consiglio, della serie "suvvia non penserai di comprare le solite radici, i soliti banali tuberi?". Bellezza guarda avanti e per oggi scegli le radici. Locali e squisitamente british. 

E che volete  faccia una ragazza di campagna con bebè al seguito in paradiso? Si lascia incantare. Nel carrellino ballerino (è nelle mani di pupi) finiscono in bell’ordine: barbabietola di Mr Ken, cavolo rapa di Mr Patrick, pastinache di Mrs Helen (ecco di queste ne avevo prese anche al Borough), patata dolce di fattoria non precisata ma sempre british e giusto due topinambur. 

Poi succede che girato l’angolo, in totale overdose di bio british, adocchi noddle alla soba. E siccome mi piace giocare e le unioni strambe mi divertono, ecco che i classici spaghetti japp  finiscono in un ragù vegano british. Tornata a casetta ho aggiunto una manciata di ceci e giusto una carota. A suggellare tofu. 

La pupa era al suo primo assaggio di soba, complice il ragù è stato un successo.  Un po’ come i pizzoccheri, anche gli spaghetti di soba sono fatti con il grano saraceno, indi perfetti per chi deve tenersi lontano dal glutine. 

Tenete conto che il ragù (magari passato e senza cipollotto) va d’accordo col 9 mesi, mentre gli spaghetti sono da rimandare fin dopo l’anno per il formato. In alternativa potete optare per ragù di verdure e crema di grano saraceno per la pappa inizio svezzamento oppure per pastina integrale.

piesse: a proposito di radici, pastinache (lo so da noi è quasi impossibile trovarne), barbabietole, cavolo rapa (non confondete con il sedano!) e carote sono ricchi di vitamine C, potassio, ferro e magnesio. Perfette per ‘sto tempo inglese pioggia costante.

Ingredienti (per pupi&moi)

80 gr di soba

1 cavolo rapa

1 carotina

1 pastinaca

1/2 fette di barbabietola

1 manciata di ceci lessati

1/2 patata dolce

cipollotto o due/tre fettine di porro

olio EVO

40 gr di tofu

erbe per profumare (io ho usato timo al limone)

(sale)

 

Procedimento

Pulite le verdure (lavate, pelate e grattate). Tagliate a pezzetti piccoli piccoli.

Mettete in padella del cipollotto affettato (o porro) e le erbe (che poi potete pure eliminare) con un cucchiaino di olio. Aggiungete le verdure, girate e bagnate con acqua tiepida o brodo vegetale. A metà cottura unite i ceci. Verso la fine il tofu a pezzetti.  

Intanto cuocete i noddle (di solito vanno fatti bollire per 4-5 minuti). Condite gli spaghetti con il ragù. Nel caso invece abbiate formato 9 mesi, passate le verdure (eventualmente fate a meno di cipollotto e cavolo rapa), diluite con brodo e amalgamate con un paio di crema di grano saraceno oppure con pastina integrale (che potete, aggiungendo brodo, anche cucinare insieme al mix di verdure). Finite con qualche pezzettino di tofu.