Uno (tris) pieds dans l’eau

Il piccolo Lui ed io. Un 9 e un 10. Consumati in un fiato, tra una candelina una e una candelina che stava lì per tante. In riva al mare o come dicono i francesi, pieds dans l’eau (che ogni volta benedico chi ha inventato un’espressione tanto ma tanto felice capace di sintetizzare un mondo, soprattutto il mio:-)).

Siamo partiti il 9, di gennaio, destinazione l’isola, via Alghero. E ci siamo immersi in una primavera che sapeva di inverno. 

Lo so, sono già passate settimane, ma il tempo è quello che è e io mi ritrovo con il solito post a perdifiato, dove raccontare e raccontare. 

 

Amo il mare di inverno. Credo di averlo già detto. Sì, lo amo, perché ti regala giornate e scorci inaspettati. E ti concede di godere delle cose da tutta un’altra prospettiva.

Abbiamo camminato tra i sentieri di Caprera. Cielo terso, Corsica quasi a vista e i Barrettini col loro faro bianco.

Il sole tramonta prima dalla finestra grande di casa, la luce accarezza diversa le cose che conosco ormai a memoria, e poi le spiagge abbandonate, lasciate ai gabbiani e a qualche spavaldo viaggiatore.

I bambini, loro, si accorgono poco della differenza, il mare è mare, la spiaggia spiaggia. E basta poco per alzare una bandiera da pirati e impossessarsi del mondo.

Edo ha spento la sua prima candelina ad Alghero sopra una semplice pallina di gelato di frutta. Era felice. E rideva.

Ci siamo persi col vento fra le viuzze spagnoleggianti di Alghero, per poi metterci sulla strada interna che porta quasi dall’altro lato dell’isola grande.

Due ore di viaggio in completo silenzio, o quasi, visto che i i tre dietro dormivano alla grande. E la sottoscritta si è pure fermata lungo la via a fotografare.

Il giorno dopo ho spento la mia candelina su una mini tortina di formaggella. Ecco, c’è questa cosa, che io a La Maddalena adoro le formaggelle, o pardule. Il loro involucro di ricotta, scorza di limone e arancia. Ne mangerei a colazione, pranzo e dopo cena. Col rischio di trasformarmi pure io in una formaggella:-). 

Dato però che l’uno è uno, anche se per noi era un po’ tris, il piccolo Lui è stato festeggiato anche al ritorno a casa. Piccola festa con merenda del pomeriggio tra amici e nonni e cuginetti. A base di gelato (della nostra gelateria del cuore, L’Albero dei gelati:-)), macaron, spiedini di frutta, panini dolci e torta (della sottoscritta che ha molto apprezzato gennaio, dopotutto il terrazzo diventa un bel luogo dove conservare ogni cosa per qualche ora:-)).

Coi panini ho costruito un grande uno in onore del festeggiato (uhm , devo dire apprezzato pure dagli altri, visto che ne è rimasto poco o nulla!).


 

Bene, messi da parte mare e compleanni, ho riaperto la cucina con un dolce che ha il sapore delle vacanze. Almeno per me. Una formaggella torta o quasi, dove ho modificato la parte esterna e conservato l’interno.

Ho trasformato l’esterno in una brisè arricchita di scorza d’arancia candita e farina fioretto, mentre per il ripieno mi sono attenuta alla tradizione.

La ricetta.

Ingredienti

150 g di farina 00

100 g di farina fioretto

50 g di amido di tapioca (o maizena)

90 g di burro freddo

acqua ghiacciata

60 g di zucchero

 

Per il ripieno

350 g di ricotta di pecora

1 tuorlo

scorza di arancia

un pizzico di zafferano

60 g di zucchero

uvetta

 

Procedimento

Mescolate le farine con il burro freddo a pezzetti e lo zucchero, aggiungete acqua ghiacciata quanto basta per impastare. Una volta formatasi una palla, avvolgetela nella pellicola e mettete a risposare in frigorifero per un’oretta.

Lavorate la ricotta a crema con lo zucchero e il turolo d’uovo. Unite lo zafferano e la scorza di arancia. A piacere aggiungete uvetta o gocce di cioccolato.

Riprendete la pasta, stendetela e rivestite uno stampo da crostata, riempite con la crema di ricotta e cuocete in forno a 180° per una trentina di minuti.

Edo!

Edo di Edo. E’ una delle cose che ho ripetuto più volte da quando è arrivato, il 9 gennaio, quasi puntuale, scegliendo il giovedì, proprio come le due pupe (chi ne sa di astrologia mi dica che cosa mi devo aspettare dal fatto che siano nati tutte e tre sotto il pianeta di Giove:-)). Non Edoardo, ma proprio Edo. Non un diminutivo ma il suo nome. Perché Edo ha un significato e un senso tutta suo. Tanto che quando l’ho scoperto mesi fa, ho deciso per questo nome: “colui che rallegra”. Saperlo e sceglierlo in un momento in cui stavo camminando a passi pesanti mi ha aiutato. 

Le settimane stanno volando veloci. Il suo arrivo, il mio compleanno (unico nel suo genere) in ospedale (il 10 gennaio) e noi, io e i miei tre figli (che a dirlo mi fa ancora molto effetto, come parlassi di qualcun altro) in sequenza di nascita: l’8, il 9, il 10 e l’11. Il ritorno a casa dalla mia famiglia, i primi giorni, la sorpresa di trovare qualcosa che già sai ma anche tutto nuovo, il profumo di un neonato, il sonno che vorresti e non hai, il primo riconoscersi attraverso sorrisi che paiono smorfie. E tutto il resto via, quasi fastidioso, di sicuro troppo rumoroso. 

Ogni bambino è una nuova isola da scoprire nonostante tutto: nostalgie, ricordi e respiri da collezionare. Il primo è forte e intenso come un primo amore, ma gli altri non sono da meno. Edo, poi, come ho detto spesso, è un po’ come fosse il primo, un piccolo Lui, dopo due primavere.
Un figlio. Qualcuno dice che è gioia e amore che si moltiplica, che è un modo per non lasciare soli i nostri figli. Io non lo so. Credo sia soprattutto un’opportunità di condividere vita e strade. In due, tre, quattro… 

Piesse: si ringrazia Miss Cia che ha tradotto la mia idea di Edo (prima che nascesse) su un taccuino dei ricordi per il pupo. C’è un panda (simbolo del Giappone, perché Edo è anche il nome antico della città di Tokio), c’è un cetaceo portafortuna e c’è l’inverno. Quasi fosse un haiku tradotto in immagini. Merci:-)