Waffel, gaufre o waffle: è Carnevale!

waffel apertura

Ne sono sempre stata affascinata. Credo sia dovuto alla frequentazione dei paesi nordici: solitamente in inverno, solitamente a ridosso di Natale se si escludono i periodi delle vacanze studio. E quel profumo che si perde nell’aria catturandoti come un cane segugio (almeno nel mio caso) ha una presa che niente al confronto o quasi. Per me sono meglio delle frittelle, quelle che si consumano per strada. E per anni ho inseguito la possibilità di farmele home made, tutte quelle volte che avevo voglia di Nord, di qualcosa di morbido e soprattutto veloce. Poi è arrivata lei. La cialdiera. Infilata tra parentesi fra un acquisto e l’altro. Bene, è stato amore anche per i pupi (prima Alice e Lea, ormai anche Edo). Gaufre, waffle, nido d’ape, ma per me soprattutto waffel, alla tedesca.

 

La ricetta ha diversi millenni, pare che le prime cialde siano nientemeno da far risalire all’Antica Grecia, per poi perdersi nel Medioevo fino ad arrivare dall’Olanda e dal Belgio tramite i Padri Pellegrini nelle Americhe.

Li ho fatti e rifatti spesso, io ma anche Lui. L’altro giorno ho pensato, fra le nebbie dell’influenza che mi ha costretto per due domeniche a letto, dopo l’interludio lavorativo settimanale, che forse valeva la pena farne un post. Perché, ecco, magari voi la cialdiera non l’avete. Credo però che al di là che si possano fare in padella (ma non è la stessa cosa) sia un investimento minimo per grandi imprese (le più economiche si aggirano sotto i 20 euriii, questa non è pubblicità, ovvio, ehh).

Ho sperimentato diverse ricette. Lo sapete, non sono una purista su certe cose e mi dò facilmente alle versioni eretiche. Ho iniziato con la ricetta classica, con uova separate, zucchero, farina, burro tanto etc… Fino ad arrivare a versioni più leggere, senza glutine, senza burro e… salate, da accompagnare come simil crostoni di pane a vellutate e zuppe.

Lo so, sarete tutti presi con chiacchiere e bugie, però potete darvi anche ai waffel. Perché sì nei paesi del Nord si usa cucinarli e consumarli proprio per il Martedì Grasso di Carnevale.

Quindi Waffel per tutti:-)

piesse: piccolo cambiamento di header. Miss Cia ha disegnato e reinventato una vsete nuova, nuova.

 

Di seguito la ricetta dei waffel dolci (che potete volendo variare diminuendo la farina e aggiungendo cacao amaro, farina di mandorle o cocco) e poi quella salata con vellutata al seguito.

 

 

Ingredienti (per 4-5 persone)
100 g di farina 00

50 g di farina di riso
50 g di farina integrale o avena
60 g di zucchero
40 ml di olio di semi di mais
2 uova

150 ml di latticello (altrimenti metà yogurt e metà latte ben mescolati)

scorza di limone

vaniglia in polvere

 

Procedimento

Setacciate le farine e mettete da parte. Montate le uova a crema con lo zucchero, aggiungete vaniglia e scorza di limone. Quindi a filo l’olio e il latticello. Infine incorporate la farina e lasciate riposare per una mezz’oretta.

Riscaldate la cialdiera, unta con poco burro o olio, dopo qualche minuto versate un mestolo di impasto. Chiudete e lasciate cuocere fino a doratura.

Servite i waffel caldi, con una spolverata di zucchero a velo o cacao, oppure composta di frutta. Nel nostro caso abbiamo utlizzato composta di lamponi e mele renette a spaghetti condite con succo di limone.

Waffel alla farina di castagne con vellutata di patate e nocciole
Ingredienti

Per i waffel

200 g di farina

100 g di farina di castagne

2 uova

2 cucchiai di olio evo

2 cucchiaini di sale

100 g di emmental grattugiato o latteria (per un gusto più delicato)

speck a striscioline

un pizzico di lievito
Per la vellutata

1 kg circa di patate

qualche fettina di cipolla dorata

olio

100 ml di panna fresca

brodo vegetale

erba cipollina

sale con erbe (il mio con fiori eduli)
Procedimento

Preparate per prime le patate. Sbucciatele e lavatele. Affettate finemente la cipolla, fatela stufare con un cucchiaio abbondante di olio, quindi unite le patate a tocchetti. Mescolate e sfumate con il brodo vegetale portando a cottura. Se volete utilizzare per bebè sotto l’anno, togliete la porzione occorrente, quindi aggiustate di sale e versate la panna.

Prepariamo i waffel. Setacciate le farine con il lievito e il sale, mettete da parte. Sbattete le uova, aggiungete l’olio, l’emmental grattugiato e le striscioline di speck sottile. Unite le farine incorporando delicatamente.

Versate nella cialdiera, unta (con olio o burro) e calda, un mestolo di impasto e chiudete.

Decorate la vellutata di patate con un filo di erba cipollina e un pizzico di sale ed erbe, servite con il waffel ben caldo.

 

Uno (tris) pieds dans l’eau

Il piccolo Lui ed io. Un 9 e un 10. Consumati in un fiato, tra una candelina una e una candelina che stava lì per tante. In riva al mare o come dicono i francesi, pieds dans l’eau (che ogni volta benedico chi ha inventato un’espressione tanto ma tanto felice capace di sintetizzare un mondo, soprattutto il mio:-)).

Siamo partiti il 9, di gennaio, destinazione l’isola, via Alghero. E ci siamo immersi in una primavera che sapeva di inverno. 

Lo so, sono già passate settimane, ma il tempo è quello che è e io mi ritrovo con il solito post a perdifiato, dove raccontare e raccontare. 

 

Amo il mare di inverno. Credo di averlo già detto. Sì, lo amo, perché ti regala giornate e scorci inaspettati. E ti concede di godere delle cose da tutta un’altra prospettiva.

Abbiamo camminato tra i sentieri di Caprera. Cielo terso, Corsica quasi a vista e i Barrettini col loro faro bianco.

Il sole tramonta prima dalla finestra grande di casa, la luce accarezza diversa le cose che conosco ormai a memoria, e poi le spiagge abbandonate, lasciate ai gabbiani e a qualche spavaldo viaggiatore.

I bambini, loro, si accorgono poco della differenza, il mare è mare, la spiaggia spiaggia. E basta poco per alzare una bandiera da pirati e impossessarsi del mondo.

Edo ha spento la sua prima candelina ad Alghero sopra una semplice pallina di gelato di frutta. Era felice. E rideva.

Ci siamo persi col vento fra le viuzze spagnoleggianti di Alghero, per poi metterci sulla strada interna che porta quasi dall’altro lato dell’isola grande.

Due ore di viaggio in completo silenzio, o quasi, visto che i i tre dietro dormivano alla grande. E la sottoscritta si è pure fermata lungo la via a fotografare.

Il giorno dopo ho spento la mia candelina su una mini tortina di formaggella. Ecco, c’è questa cosa, che io a La Maddalena adoro le formaggelle, o pardule. Il loro involucro di ricotta, scorza di limone e arancia. Ne mangerei a colazione, pranzo e dopo cena. Col rischio di trasformarmi pure io in una formaggella:-). 

Dato però che l’uno è uno, anche se per noi era un po’ tris, il piccolo Lui è stato festeggiato anche al ritorno a casa. Piccola festa con merenda del pomeriggio tra amici e nonni e cuginetti. A base di gelato (della nostra gelateria del cuore, L’Albero dei gelati:-)), macaron, spiedini di frutta, panini dolci e torta (della sottoscritta che ha molto apprezzato gennaio, dopotutto il terrazzo diventa un bel luogo dove conservare ogni cosa per qualche ora:-)).

Coi panini ho costruito un grande uno in onore del festeggiato (uhm , devo dire apprezzato pure dagli altri, visto che ne è rimasto poco o nulla!).


 

Bene, messi da parte mare e compleanni, ho riaperto la cucina con un dolce che ha il sapore delle vacanze. Almeno per me. Una formaggella torta o quasi, dove ho modificato la parte esterna e conservato l’interno.

Ho trasformato l’esterno in una brisè arricchita di scorza d’arancia candita e farina fioretto, mentre per il ripieno mi sono attenuta alla tradizione.

La ricetta.

Ingredienti

150 g di farina 00

100 g di farina fioretto

50 g di amido di tapioca (o maizena)

90 g di burro freddo

acqua ghiacciata

60 g di zucchero

 

Per il ripieno

350 g di ricotta di pecora

1 tuorlo

scorza di arancia

un pizzico di zafferano

60 g di zucchero

uvetta

 

Procedimento

Mescolate le farine con il burro freddo a pezzetti e lo zucchero, aggiungete acqua ghiacciata quanto basta per impastare. Una volta formatasi una palla, avvolgetela nella pellicola e mettete a risposare in frigorifero per un’oretta.

Lavorate la ricotta a crema con lo zucchero e il turolo d’uovo. Unite lo zafferano e la scorza di arancia. A piacere aggiungete uvetta o gocce di cioccolato.

Riprendete la pasta, stendetela e rivestite uno stampo da crostata, riempite con la crema di ricotta e cuocete in forno a 180° per una trentina di minuti.

Perché a dicembre.

biscotti e corona 01 disegnato

La stanchezza, il tempo che non c’è. E’ una combinazione complicata, spesso scomoda, per lo più faticosa. Che però ha dei piccoli vantaggi. Ti obbliga a fare delle scelte. Ad eliminare quello che non sta nelle tue mani, o che scopri alla fine scivolare via appena i tuoi occhi si spostano altrove. Cerco di concentrarmi: mi pongo domande continuamente, sottovoce, mentre faccio altro. E tento di capire come scrollarmi via tutto ciò che mi appesantisce, zavorre inutili, insospettabili che rubano attimi.

E’ un esercizio che forse dovremmo concederci più spesso. Osservare da fuori per vivere meglio dentro. Le cose che ci fanno felici, le persone che ci rendono leggere.

Oggi, siamo spesso intrappolati in liste, io per prima. Perché lavoro (e  mi piace), sono la mamma di tre bambini e ho un Lui col quale vorrei passare tanto tempo proprio come se fossi ancora la sua ex-ragazza. Sono tre punti, chiari ma a volte complicati.

Le giornate, lo so, sono fatte purtroppo di tante piccole cose che dobbiamo portare avanti: camminiamo, corriamo. Però, capisco sempre di più, che a volte sta a noi fare delle scelte. Per lo più è impossibile, ma ci sono casi in cui bisogna soffiare via.

Analizzo e ultimamente sottraggo per rendere più leggere le somme. L’altro giorno mi sono regalata un libro, per bambini: “Vorrei un tempo lento” e mi sono commossa leggendolo.

Domenica ho impastato i biscotti per il nostro calendario di dicembre con le bambine. Ci sono riti che risorgono ogni volta come una promessa. E i figli sono qua a ricordarcelo, a rendere le scelte a volte talmente semplici nella loro limpidezza. Basta guardare.

Ecco, giusto per dire che anche quest’anno ho scomodato il nostro calendario della renna, compagno di tanti “24” a Natale. Perché dicembre dopotutto è sempre un mese speciale, e l’attesa è più dolce se si consuma insieme, magari cantando e ballando proprio come quando eravamo bambini.

 

Le ricette. Ho mostrato ad Alice “Patisserie” di Felder e lei ha scelto da lì un paio di ricette da aggiungere alla mia per i biscotti (presa grosso modo dai Biscotti del Sor-riso da Il Cucchiaino libro, niente uova ma panna e farina di riso).

Abbiamo fatto un paio,  solo due, piccole modifiche perché avevamo dell’ottima farina di castagne che non ho resistito ad infilare nei biscotti.

Per il resto le due pupe ognuna a loro modo si sono divertite a pasticciare, impastare e creare: Alice, ormai una vera “sous chef”, con tanto di “mamma, leggo io e peso o mamma, prima di andare avanti sistemo quetso e quello e pulisco”, Lea da tenere a vista perché l’impasto rischiava di scomparire a piccoli pezzi nella sua bocca.

Vi lascio entrambe le ricette. Dei biscotti e della corona per decorare (porta e tavola) o da mangiare.

 

Ingredienti (per tanti biscotti)

150 g di farina 00

50 g di farina di castagne (noi marroni)

1 cucchiaino di cacao amaro

1 cucchiaino di cannella

100 g di burro a temperatura ambiente

90 g di zucchero

1 cucchiaino di lievito per dolci

1 uovo

1 cucchiaio di latte

Per la decorazione

zucchero grezzo

acqua

 

1 albume

zucchero a velo (circa 150 g)

gocce di limone

 

Lavorate il burro ammorbidito con lo zucchero fino a ottenere una crema. Aggiungete l’uovo e il cucchiaio di latte. Quindi le farine, il lievito, il cacao e la cannella setacciati. Avvolgete l’impasto ottenuto nella pellicola e mettete in frigo a riposare per un’oretta.

Riprendete l’impasto e stendetelo a un’altezza di circa 4 mm. Ritagliate i biscotti e se volete appenderli praticate un piccolo foro all’interno.

Spennellate i biscotti con acqua e passateli nello zuccheor grezzo.

Cuocete in forno preriscaldato a 180° per circa 10-15 minuti.

Preparate la glassa in questo modo: montate a neve ben ferma l’albume, aggiungetene una parte allo zucchero a velo insieme a qualche goccia di limone. Dovete ottenere una consistenza liscia, uniforme, non troppo liquida per potrela usare per decorare.

Decorate i biscotti a vostro piacere.

 

 

La corona profumata (ma veramente superprofumata!)

Ingredienti

300 g di farina Manitoba

200 g di farina integrale

100 g di zucchero

100 g di burro

5 cl di rum

1 cucchiaino di sale

la scorza grattugiata di un’arancia

la scorza grattugiata di un limone

5 cl di acqua di fiori d’arancio

1 bustina di lievito madre

2 uova

frutta candita (noi frutti rossi)

 

1 tuorlo d’uovo per spennellare

 

Sciogliete il burro con lo zucchero, il rum, il sale, le scorze a fuoco lento. Togliete dal fuoco e unite l’acqua di fiori d’arancio. Fate raffreddare.

Setacciate le farine, aggiungete il lievito e le uova. Mescolate e versate lo sciroppo tiepido. Lavorate l’impasto fino a ottenere una palla omogenea, nella quale aggiungere la frutta candita.

Mettete a lievitare in luogo tiepido per un paio d’ore. Riprendete l’impasto e formate un salsiciotto lungo circa 50-60 cm. Aiutatevi con una forma rotonda creare una corona, unite le estremità e rimettete a lievitare per un’altra ora.

Spennellate infine la corona con il turolo d’uovo leggermente sbattuto. Con un paio di forbici praticate delle incisioni una dopo l’altra nella parte superiore.

fate cuocere in forno preriscaldato a 200° per 10 minuti, quindi abbassate a 180° per altri 15-20 minuti.

 

 

Il risotto di Halloween

halloween apertura

Non è alla zucca. No, no, no. Troppo facile, anche se io lo adoro. L’idea è arrivata veloce, come mi capita ormai nell’ultimo periodo, mentre osservavo di sfuggita la cassetta di cachi che ormai ogni settimana staziona sul tavolo del nostro terrazzo (mica, sempre la stessa che qui mangiano cachi come non ci fosse un domani). Amo i risotti. E credo di averli sperimentati in ogni foggia (che potesse piacere qui a casa, ovvio). Quindi, a base di frutta, spesso. Fragole, pesche, mirtilli, uva, mele, pere, arancia, melone, melagrana, kiwi… il cachi mai. Allora cachi fu. In versione Halloween, tanto che ci siamo.

La zucca ci sarà. L’abbiamo comprata Lea ed io al supermercato da una settimana. Il suo grido tra le corsie: “Mamma, bellaaaa”. Perché per Miss Lea ciò che è bello o balla o si mangia:-). E’ un’esteta, a due anni e un pezzo.

E da una settimana Alice mi chiede: “Quando tagliamo?”. Della serie diamo occhi, naso e bocca alla fantatsica zucca decorativa che sta al centro del tavolo del terrazzo (ecco, questo tavolo sta diventando, fuoristagione, un comodo accessorio appoggia “frutta e verdura”).

Lo so, siete stati tutti superbravissimi e la zucca l’avete già bella che intagliata. Noi no. Terribilmente in ritardo, in superitardo (mantra della mia esistenza ultimamente:-)) ma contiamo di “obbligare” il chirurgo di casa a incidere e tagliare questa sera. Speriamo:-)

 

Intanto, provate questo risotto. Non pretendete di ottenere un giallo aranciato intenso (che il caco non è la zucca), accontentavi di un giallo aranciato tenue e leggere, da rinforzare con polpa fresca al momento di servire. Il sapore invece è dolciastro al punto giusto, bilanciato dal formaggio, proprio come ogni risotto a base di frutta comanda di essere.

La divagazione a ragnatela e faccetta a base di formaggio e liquirizia è in Halloweene style (però devo ammettere che la nota di liquirizia col caco si sposa proprio bene!).

Piesse: a casa nostra ho proposto in versione leggera, con riso baby, la ricetta anche al Piccolo Lui.

Ingredienti (per 4)

240 g di riso carnaroli

1/2 scologno

2 cachi

brodo vegetale leggero (io a base di carote e patate)

olio evo

burro

timo

70-80 g circa di robiola fresca

sale

 

Per la riduzione alla liquirizia
1 cucchiaino di polvere di liquirizia

1 cucchiaio scarso di acqua

 

Procedimento

Affettate finemente lo scalogno, lasciatelo stufare con un cucchiaio di olio e un pezzetto di burro. Dopo qualche minuto unite il riso (potete anche eliminare lo scalagno, se il sapore per voi è troppo forte), mescolate a fuoco medio per qualche minuto. Ricavate dai cachi la polpa e frullatela.

Aggiungete al riso un paio di cucchiai di cachi, girate e sfumate con il brodo.

Portate a cottura, verso la metà aggiungete di nuovo un paio di cucchiai di polpa di cachi. Aggiustate di sale.

Nel frattempo stemperate la polvere di liquirizia in un cucchiaio di acqua, mettete sul fuoco e mescolate fino a ottenere una riduzione abbastanza densa.
Quando il riso è pronto, spegnete, unite altra polpa di cachi (lasciatene un paio di cucchiai ancora da parte), la robiola e qualche fogliolina di timo fresco.

Servite il risotto decorando cuna fogliolina di timo, un cucchiaino di polpa fresca di cachi e disegnando con la riduzione alla liquirizia ragnatele e facce spaventose.

 

Crema catalana all’uva fragola

Crema catalana uva fragola  disegnata smallIMG_9766-2

Ci sono cose che a distanza di cinque anni cinque ormai conoscete a memoria. Odio il lunedì, il mio motto è quello del Bianconiglio (uhm, sono in ritardo e bla, bla, bla), mi piace organizzare feste di compleanno e aperitivi improvvisati, amo stare negli aereoporti con un trolley in una mano e il tabellone delle partenze davanti agli occhi, adoro cinque o sei ingredienti che ritornano nella mia cucina (e stranamente piacciono anche alle pupe, sul piccolo Lui devo ancora indagare per bene).  Fra questi ingredienti di sicuro, in questa stagione, c’è l’uva fragola. Perché è un frutto che mi ricorda un profumo. E ti permette di tornare bambino dopo il terzo, massimo quarto acino passato fra i denti.

Quest’anno abbiamo avuto la fortuna di avere un vero e proprio carico di uva fragola regalata per ben due volte dalla vigna del nonno di un’amica. Bene, con le bimbe ci siamo esercitate a schiacciare gli acini sotto la lingua, tanto da incuriosire pure il piccoletto che ha reclamato la sua parte.

Gli acini erano veramente tanti ma tanti. Ci ho fatto la focaccia con questa ricetta qui, un po’ di sugo d’uva (la ricetta è anche su Il Cucchiaino libro) e mi sono avventurata a pensare se non poteva funzionare un risotto (ecco, ma non l’ho fatto, se qualcuno ha notizie mi dica che qui d’uva ne abbiamo ancora).

L’altro giorno ci ho provato con la crema catalana. Alice e Lui adorano la versione classica, tanto che quest’estate l’ho sperimentata diverse volte anche a base di fragole, lamponi e pesche.

E perché non l’uva fragola? Detto fatto. Ho aggiunto qualche ago di rosmarino selvatico del terrazzo. E Alice si è divertita a decorare le cocotte come fossero un prato fiorito.

Dal riposo alla caramellatura con il cannello all’affondo del cucchiaino nella trama croccante il tempo pare essere durato quasi nulla (la piccola leoncina vince in simpatia:-))

Ingredienti (per tante cocotte)
600 ml di latte intero

4 tuorli

scorza di limone

vaniglia in polvere
1 cucchiaio di amido di mais (circa 40 g)

80 g di zucchero

un rametto di rosmarino

acini di uva fragola

zucchero di canna

 

Procedimento
Mettete a scaldare il latte con la scorza di limone e il rametto di rosmarino (che poi eliminerete). Sbattete i tuorli con lo zucchero e la vaniglia fino a ottenere una crema densa. Unite quindi la maizena a poco a poco, malgamandola per bene. Ora mescolate il latte caldo con la crema d’uovo continuando a girare. Rimettete sul fuoco e portate a ebollizione continuando a mescolare. Spegnete. Riempite delle cocottine con la crema, lasciate raffreddare per una decina di minuti, quindi decorate con gli acini di uva fragola.

Fate raffreddare in frigorifero per un paio d’ore, spolverate con zucchero di canna e caramellate con il cannello oppure sotto il grill del forno.

 

Un Fiorfiore di pasta: caserecce al ragù bianco

L’avevo detto che è un periodo in cui ritornano spesso in cucina gli stessi ingredienti. Oggi della serie “graditi ritorni” ci sono le castagne. In un’interpretazione in tono con questa giornata che sto guardando dalla finestra mentre scrivo. Bagnata di grigio acceso solo dai rossi tiziano e giallo oro degli alberi. Qualche giorno fa mi sono stupita a guardare il calendario scoprendo di essere entrata nell’ottavo mese. I passi di questo periodo sono stati troppo concitati e faticosi, facile, quasi banale, dimenticarsi persino della “panza”:-).
E oggi ho deciso di prendermi cura anche di me, di noi. Con una ricetta che entra nel periodo dell’attesa. Caserecce sempre della linea Fiorfiore Coop con un ragù bianco e leggero ma saporito d’autunno.

In questi giorni a casa nostra non mancano mai le castagne. Perché Alice ha sviluppato una vera e propria passione per le caldarroste (che preparo al forno), mentre la sottoscritta  le infila in minestre, primi piatti o carni arrosto. 

Quest’anno però niente raccolta per via di fine settimana sempre troppo occupati ancora da scatoloni da fare di là e sistemare di qua.
Al momento finisce tutto nella cameretta del pupo che prima o poi dobbiamo assolutamente sgombrare per sedare la mia sindrome del “nido” che nel corso delle settimane peggiora sempre più:-). Ho scoperto che abbiamo tanti, tantissimi libri, la notizia mi ha spaventato considerando che ho una lunga lista di “vorrei leggere”.
Il risultato è che mi aggiro per casa progettando mensole quasi invisibili dove appoggiare libri e libri, navigo in internet ricercando armadi in stile “pupetto” e smonto e rimonto, tutto virtualmente si intende, letti a soppalco per le pupe. 

Ritorniamo in cucina. Per le caserecce ho scelto un ragù a base di carne di tacchino, ricca di ferro quasi quanto manzo e vitello, molto digeribile e leggera (vedi necessità del periodo). Abbinata a castagne, erbe fresche (per me timo, rosmarino e alloro) e un trito di verdure ha un gusto delicato ma caratteristico che è piaciuto pure alle pupe dopo il primo assaggio, nonostante la dipendenza quasi totale di Alice per ragù+pomodoro.
Ingredienti (per 4)
250 g di caserecce Fiorfiore Coop
400 g di macinato di tacchino
1 scalogno
3 carote di medie dimensioni
2 gambi di sedano
200 g di castagne bollite (se siete in vena di far veloce potete optare per quelle sottovuoto)
1 chiodo di garofano
un mazzetto di timo, rosmarino e alloro
brodo vegetale
olio extravergine d’oliva
sale
parmigiano reggiano
 
Procedimento
Affettate lo scalogno a fettine sottili, raschiate le carote, tagliatele a pezzetti con il sedano, quindi con la mezzaluna ricavate un trito grossolano. Fate appassire lo scalogno, unite le verdure e le erbe, mescolate, infine aggiungete la carne. Potete anche sfumare con un goccio di vino bianco secco. Fate cuocere per qualche minuto, quindi bagnate con un mestolo di brodo vegetale, coprendo con un coperchio. A metà cottura unite anche le castagna a pezzetti. fate attenzione che il ragù non rimanga troppo asciutto, eventualmente bagnate con ulteriore brodo. Aggiustate di sale. Cuocete la pasta, scolatela e fatela sl

saltare in padella con il ragù per un paio di minuti. Servite le caserecce con una spolverata di parmigiano.